Marco De Martino, Vanity Fair 11/12/2013, 11 dicembre 2013
CARA CATE COSI’ NON MI PIACI
Ama Woody Allen, ma stavolta non l’ha fatta ridere, adora Cate Blanchett, ma stavolta no: i film di solito ti portano in un mondo di sogno, però Blue Jasmine ha ricordato a Stephanie Halio la sua realtà di tutti i giorni, quella di una pensionata precipitata in un attimo dall’agiatezza a una vita di stenti: «È stato doloroso vederlo perché mi ha ricordato che una volta avevamo una bella vita, e che l’abbiamo persa. Ed è ancora più doloroso pensare che basta un film per farmi precipitare di nuovo nella tristezza».
D’altra parte fu proprio mentre stava per passare una tranquilla serata al cinema che la sua vita cambiò: era l’11 dicembre del 2008, e mentre si accingeva a entrare in sala, l’amica che era con lei ricevette una telefonata: «Bernie Madoff è in prigione». Ricorda Stephanie che fece fatica a stare in piedi, e le ci volle un po’ per mettere in fila le conseguenze di avere affidato i risparmi di una vita all’architetto della più grande truffa finanziaria di tutti i tempi, un audace colpo da 65 miliardi di dollari che ha messo in ginocchio 12 mila investitori come lei.
Sono passati cinque anni da quella sera. Bernard Madoff, che ora ha 75 anni, è stato condannato a 150 anni di prigione e guadagna 40 dollari al mese occupandosi del sistema informatico del suo carcere in North Carolina: dice di essere perseguitato dal senso di colpa nei confronti delle persone che ha rovinato e del figlio Mark, che si è impiccato nel giorno del secondo anniversario dell’arresto di suo padre. Peter Madoff, fratello di Bernard, è stato condannato a 10 anni e sta scontando la sua pena in South Carolina. A New York è in corso un processo da cui risulta chiaramente che non è possibile che solo due persone fossero al corrente di quello che accadeva nel Lipstick building di Manhattan, sede della Madoff Investment securities, dove i rendiconti dei clienti sono stati contraffatti per anni. E intanto con Blue Jasmine – dove il truffatore è Alec Baldwin e sua moglie, innocente ma fino a un certo punto, è appunto il premio Oscar Cate Blanchett – viene riscritta la storia di Ruth Madoff, che lavorava col marito e ora vive in una villa del Connecticut vicino al figlio Andrew, ammalato di tumore.
Quanto a Stephanie Halio, lei ora ha 70 anni e fa l’autista come suo marito Robert, che di anni ne ha 72: portano la gente all’aeroporto. La notte prima dell’intervista è rincasata alle 2, stamattina era di nuovo al volante alle 5. Si sente fortunata: non ha ipotecato la propria casa per dare soldi a Madoff, come hanno fatto altri clienti, e ora lotta per continuare ad avere un tetto sopra la testa.
Quanto ha perso?
«Il 95 per cento di tutto quello che avevamo risparmiato per la pensione: pensi che avevo cominciato a mettere via soldi a 16 anni. Non abbiamo più la casa di vacanza a East Hampton, vicino a New York. Le nostre due macchine. Ma soprattutto è finita la nostra serenità: le prime settimane le abbiamo passate a piangere e a tremare».
Come vi siete ripresi?
«A stento, grazie al 5 per cento di risparmi che non avevamo affidato a Madoff, una piccola somma che ci ha dato la possibilità di guardarci attorno. Mio marito ha provato a cercare lavoro, ma a 67 anni non è facile: si è proposto come maestro, come postino, come commesso. Niente. Io ho investito qualcosa nel tentativo di diventare agente immobiliare, ma competere con chi lo fa da trent’anni è impossibile. Allora ci siamo messi a fare gli autisti».
La famiglia vi ha aiutato?
«Purtroppo no. Mio figlio, anzi, si è arrabbiato, credo per la perdita dell’eredità e per la paura di doverci mantenere. È stata una grande delusione: ci parliamo solo perché vogliamo vedere i nostri due nipotini».
Siete in contatto con altre vittime?
«Sì, ma quando le mie amiche mi mandano articoli su Madoff devo fare uno sforzo per leggerli: mi mandano in depressione».
Pensa che sia stata fatta giustizia?
«Per niente. Basta guardare quello che sta emergendo dal processo a New York. L’altro giorno un ragioniere ha testimoniato dicendo che Ruth e Bernard decidevano ogni anno quante tasse pagare, e poi falsificavano i documenti. I dipendenti, i famigliari, la moglie: tutti sapevano. Mi devasta il fatto che abbiano lasciato a Ruth 2 milioni e mezzo dei soldi che ha rubato ai clienti, a quelli come noi: lei è bugiarda come suo marito e come suo padre, che fu il primo a dare lavoro a Bernard Madoff».
Non ha creduto a Ruth Madoff neppure quando, due anni fa, ha detto in un’intervista che dopo l’esplosione del caso ha tentato di suicidarsi col marito?
«Non sono neanche riuscita a finire di guardarla: era chiaro che mentiva anche in quel momento, ha un’opinione di sé troppo alta per pensare al suicidio. Suo figlio Andrew dichiarò anche di soffrire perché non poteva più prenotare i ristoranti usando il nome Madoff: lo ascoltai pensando che io mangiavo pizza tutti i giorni, altro che ristoranti».
Ma non avete mai sospettato che ci fosse qualcosa di strano?
«Verso la fine, quando nei rendiconti continuavamo a guadagnare mentre tutti perdevano, abbiamo chiesto in giro. Ci hanno detto che Madoff usava una strategia particolare, e che era comunque il migliore. Quando lo hanno arrestato ho letto ossessivamente tutto su di lui. E mi sono ricordata che nel 1992 avevamo ricevuto la telefonata di un amico che ci avvisava che c’erano dei problemi con Madoff. E che tre mesi dopo avevamo ricevuto un assegno da Madoff con il quale ci rimborsava di tutti i soldi che il nostro agente gli aveva mandato, assieme a una lettera della Sec, la Consob americana, dove c’era scritto che era sicuro investire con lui. Che cosa dovevamo fare? Abbiamo immediatamente rimandato l’assegno reinvestendo direttamente con lui».
Che cosa era successo?
«C’era stata un’indagine su alcuni broker usati da Madoff che non avevano la licenza per lavorare: già allora avrebbero dovuto scattare i campanelli d’allarme. Per legge, i titoli investiti in un fondo pensione come il nostro dovevano essere custoditi in una cassaforte, ma il fisco e la Sec non hanno mai fatto un controllo. Non dimentichiamoci che Shana Madoff, figlia di Peter e nipote di Bernard, era sposata con uno dei responsabili della divisione investigativa della Sec. C’era un sistema di protezione vastissimo, ed è anche per questo che è difficile credere che solo due sapessero. Mentre noi perdevamo tutto, i grandi clienti beneficiari della truffa hanno guadagnato miliardi».
È stata rimborsata?
«Sì, in parte, solamente per i soldi che abbiamo investito, una frazione di quello che pensavamo di avere: non abbastanza per cambiare la nostra situazione. Il rimborso è arrivato solo perché eravamo investitori diretti: chi versava soldi attraverso fondi esterni non ha ancora visto un soldo, anche se sono stati recuperati 2,3 miliardi di dollari che stanno lì a giacere, da mesi».
Odia Madoff?
«No, ma solo perché evito di provare sentimenti nei suoi confronti. Lo perdonerò? Mai, quello che ha fatto non ha scuse».
Il listino di Borsa è di nuovo ai massimi livelli: che cosa ne pensa?
«Mio figlio lavora a Wall Street, quindi cerco di moderare i miei giudizi. Ma se mi chiede se credo che possa ripetersi una tragedia come quella scatenata da Madoff, non posso che risponderle di sì: è già successo con altri casi eclatanti di insider trading e truffa. E, sempre, ad andare in galera alla fine sono in pochi. Il gioco va avanti».
Che cosa teme del futuro?
«Una grave malattia che ci impedisca di lavorare: pensavamo di avere soldi da parte e non abbiamo mai fatto un’assicurazione sanitaria. Ma sono meno pessimista di cinque anni fa: se siamo sopravvissuti a Madoff, possiamo sopravvivere a tutto».