Gabriele Romagnoli, Vanity Fair 11/12/2013, 11 dicembre 2013
L’UOMO CHE CREO’ E DISTRUSSE SADDAM
L’UOMO CHE PRIMA CREO’ E POI DISTRUSSE Saddam Hussein non si chiama George Bush ma Massimo Del Chiaro. Ha una bella faccia da italiano schietto, più di settant’anni e una fonderia nel distretto del bronzo, a Pietrasanta. Questa è la sua storia, in parallelo con «quella di un dittatore che dieci anni fa venne catturato in fondo a una buca e, più tardi, impiccato.
QUELLA DI DEL CHIARO è un’avventura imprenditoriale come se ne raccontavano un tempo: in fabbrica a tredici anni, un incarico autoassegnato tra sabato e domenica per stupire il titolare, promozioni, inventiva, lavoro in proprio, cadute, resurrezioni. Da quarant’anni sopravvive ed eccelle fondendo metalli. Si considera un artigiano. Direbbe Lucio Battisti: «L’artista non sono io, sono il suo fumista». Poi scopri che gli autori di monumenti enormi (da Botero a Gina Lollobrigida) gli portano in realtà un modellino in scala 1:100 e lui fa il resto. Ma questo la gente non lo sa, se lo sapesse avrebbe un’idea diversa dello scultore e del fonditore. Per cui, se glielo domandi, risponde: «No comment».
RACCONTA PIÙ VOLENTIERI la sua vita al servizio dell’arte altrui e, con particolare passione, la storia dell’Iraq, prima felice e poi dolentissima. Succede che un giorno del lontano 1981 lo contatta un tal Ali Al Jabiri, artista iracheno che vive a Roma, dove si è sposato con un’italiana. Parla bene la lingua: vuole commissionare a Del Chiaro una statua di Saddam alta dieci metri. Un colosso da piazzare in una delle piazze di Bagdad, rassicurante, in divisa, con il braccio teso verso l’orizzonte di un grande futuro. Il fonditore non fa una piega. Il suo compito è realizzare, non discutere. Non ha mai obiezioni di coscienza, quel che gli propongono lui fa.
Si è presentato uno svizzero con un camion di stereo di mucca secco. Ha voluto tante forme in bronzo. Le ha vendute all’asta per beneficenza, con il ricavato ha fatto costruire due ospedali in Africa. Al momento, mentre parliamo, la fonderia sta lavorando alla commessa di un russo «molto famoso» che al solo descriverla fa già luna park: nel basamento sono raffigurati tre leoni seduti di spalle, che sulla groppa reggono il mondo, al centro svetta una stele alta diciassette metri su cui sta un cervo. Figurarsi un raìs di dieci metri con il basco e i baffi. Che problema c’è? Soltanto una guerra con l’Iran che rinvia il progetto di sette anni.
NEL ‘98 AL JABIRI SI RIPRESENTA. Con lo stesso preventivo in mano. Sarebbe da aggiornare, ma Del Chiaro decide di non farlo, intuendo lo spiraglio: si sta aprendo un mercato. Realizza la scultura su modello di un altro artista, un tal Suhel Al Hindawi che ora vive da esule in Canada. Occorrono un anno di lavoro, un ingrandimento in tre parti, un’armatura interna d’acciaio.
Imbarcare il Saddam su un cargo militare Ilyushin all’aeroporto di Pisa è un affare di Stato, autorizzato dalla Farnesina. Il raìs pesa dieci tonnellate e viaggia in una cassa perché deve arrivare come una «sorpresa» per il suo alter ego. Ma gli iracheni non hanno calcolato bene la misura del portellone, la cassa non passa, il «pacco» deve essere aperto. A questo punto non passa il braccio teso: devono segarlo, preparandosi a «reincollarlo» a Bagdad. Ci sono fotografie di Del Chiaro all’aeroporto con il Saddam «amputato» e la testa in un mega cellophane, come uno che voglia asfissiarsi per un gioco erotico o un suicidio. Altre di lui dentro il cargo con l’equipaggio di baffuti. Infine, nella piazza dove una gru posa dieci metri di raìs su una fontana.
PERFETTO. ENTUSIASMO. OLTRE a Saddam, Del Chiaro fonde mezza oligarchia di regime. In Iraq non ci sono fabbriche come la sua, né in tutto il mondo arabo. Vogliono incaricarlo di realizzare sulle rive del Tigri la fonderia di Allah. Lo ospitano all’hotel Al Rashid, lo ricevono nei palazzi di governo, gli preparano un contratto da otto miliardi di dollari, con un mandato per andare, appena tornato in Italia, all’ambasciata irachena e farsi anticipare il quaranta per cento. Dovrebbe incontrare Saddam in persona, che però ha un impegno: sta preparandosi a invadere il Kuwait. Massimo Del Chiaro non lo sa, ma il suo aereo per Londra è l’ultimo volo a lasciare l’Iraq. Ha in tasca un contratto che, mentre lui è in cielo, diventa carta straccia. Embargo, fine delle comunicazioni.
NON SENTIRÀ MAI PIÙ NESSUNO dall’Iraq finché, un giorno del 2003, gli passano una chiamata da Bagdad. È un ufficiale dei marines. I suoi uomini sono davanti alla statua di Saddam alta dieci metri con il braccio teso reincollato. Cercano di abbatterla, come da ritualità dei vincitori.
Gli hanno sparato già tre cannonate, ma sono riusciti soltanto a fare altrettanti buchi. Quando hanno scoperto chi ha creato quell’avversario indistruttibile, gli hanno mandato «un sacco d’accidenti», poi si sono arresi. Chiedono istruzioni. E Massimo Del Chiaro spiega al marine come smantellare il dittatore pezzo per pezzo. Quello esegue.
RIMPIANTI? L’UOMO DI PIETRASANTA sembra non averne, né per i soldi perduti né per la creatura distrutta. L’ha presa con filosofia, anzi ne ha ricavato una filosofia. Un momento sei in cielo con tre miliardi intasca, un momento dopo a terra, con le tasche vuote. Un giorno sei alto dieci metri, un altro sei sprofondato in una buca. Tutto si crea, tutto si distrugge. E goodbye Bagdad.