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 2013  dicembre 10 Martedì calendario

BUFERA SUL SOCCORSO ROSSO DELLA CONSULTA


Quella dei presidenti che si «allargano» troppo sembra una malattia contagiosa. E il banco di prova è la legge elettorale, o meglio: che fare dopo la bocciatura costituzionale del Porcellum? Quanti «abusivi» ci sono nel Parlamento e dintorni, si può andare al voto così o serve un nuovo sistema?
Per aver voluto suggerire la sua, senza che fosse richiesto, finisce sotto accusa alla Consulta il numero uno Gaetano Silvestri. Il vicepresidente Luigi Mazzella gli ha indirizzato una lettera di fuoco, con due contestazioni che dovranno essere discusse in una seduta ad hoc dai quindici giudici costituzionali.
In sostanza, avrebbe forzato la mano per assicurare che, dopo la storica sentenza che la scorsa settimana ha cancellato dalla legge elettorale premio di maggioranza e liste bloccate, non ci sarebbe stato alcun terremoto istituzionale.
La prima accusa riguarda il comunicato diffuso alla stampa subito dopo il verdetto. È stato scritto, secondo la prassi, appunto da Silvestri. E il costituzionalista eletto dal Parlamento su proposta del centrosinistra ha voluto metterci alla fine due capoversi molto insoliti: il primo dice che gli effetti della sentenza decorrono dal deposito della motivazione (cioè quello che afferma l’articolo 136 della Costituzione) e il secondo per affermare che il Parlamento può fare comunque una legge elettorale seguendo i dettami della politica ( anche questo è scritto nello stesso articolo).
Due spiegazioni ovvie, ma il fatto stesso di ribadirle ha aperto la strada alle più svariate interpretazioni e ricostruzioni, è apparso a molti come la volontà dell’Alta Corte di limitare le pesanti conseguenze politiche della sentenza. Cosa di cui i Quindici non dovrebbero preoccuparsi affatto: se una legge è incostituzionale la devono abrogare e basta, agli effetti deve pensare il Parlamento.
Poi Silvestri ne ha fatta un’altra: dopo giorni di retroscena sulle discussioni in camera di consiglio, la retroattività della sentenza, il Parlamento delegittimato, i 148 deputati «abusivi», il presidente della Consulta ha lanciato un richiamo all’ordine. E in una nota ha richiamato proprio i due capoversi di cui sopra, sottolineando: basta con le illazioni, la Corte parla solo «attraverso i propri atti collegiali e le dichiarazioni ufficiali del presidente ». Frase strana, che attribuisce a quello che dev’essere un primus inter pares un ruolo di portavoce e interprete unico del volere della Corte.
Contestando questi due fatti il vicepresidente Mazzella, eletto dal Parlamento su proposta del centrodestra, chiede che si ristabilisca la certezza delle regole. Serve, spiega, una camera di consiglio non giurisdizionale, in cui si stabilisca che da oggi in poi i comunicati stampa siano approvati dal collegio intero e che si diffonda una rettifica per spiegare che le dichiarazioni del presidente non rappresentano la Corte e questa si esprime solo con le sue decisioni collegiali.
Non è solo, Mazzella. Sembra che il malumore verso Silvestri su questi fatti sia diffuso. Soprattutto tra gli 8 giudici che hanno bloccato la manovra degli altri 7 colleghi, compreso il presidente, determinati a resuscitare il Mattarellum.
Alla fine, questo gruppo (che sarebbe vicino anche al Colle) è uscito sconfitto dalla camera di consiglio. La Consulta ha amputato le due parti illegittime della legge elettorale, ma ha anche indicato la necessità delle preferenze per garantire al cittadino la scelta del candidato. Ha lasciato in vita un sistema proporzionale con soglie di accesso, seppur minime, in teoria sufficiente per andare a votare.
Il Parlamento può fare di meglio, certo. Ma, si spiega nel Palazzo della Consulta, non sta ai giudici costituzionali dare input in un senso o nell’altro. Con la bocciatura del Porcellum è stata eliminata una stortura dell’ordinamento e c’è chi sente l’orgoglio di una sentenza di portata storica. Che ha provocato un «azzeramento» simile a quello del dopoguerra, quando l’Assemblea Costituente ha incominciato tutto daccapo. Per tanti versi, spiega un giudice costituzionale, la situazione dell’Italia di oggi è simile a quella del ’46: ci troviamo di fronte ad una svolta democratica. Che la Consulta ha determinato con la sua pronuncia, ma che tocca alla politica interpretare.