Giusi Fasano, Corriere della Sera 10/12/2013, 10 dicembre 2013
IO SFREGIATA CON L’ACIDO GUARDATE DA VICINO QUELLO CHE AVETE FATTO
«All’inizio mi sono seduta in fondo, accanto ai miei genitori e a mio fratello. Ma poi ho pensato: no, Lucia, devono vedere da vicino quello che hanno fatto. Il più vicino possibile. Così sono andata a sedermi accanto al mio avvocato, Francesco Coli. Al primo banco, davanti a tutti e tre». A sentirla parlare viene in mente Il danno , celebre film di Louise Malle: «Chi ha subito un danno diventa pericoloso perché sa di poter sopravvivere. È la sopravvivenza che lo rende tale perché non ha pietà...».
Lucia Annibali sa di potercela fare e ha voluto che lo sapessero anche loro, i tre uomini che ieri mattina erano a un passo da lei, davanti al giudice delle indagini preliminari Maurizio Di Palma, nel tribunale di Pesaro. C’era il suo ex Luca Varani, avvocato (come lei), accusato di averle reso la vita impossibile per mesi e mesi (stalking) e di aver manomesso l’impianto del gas di casa mettendo a rischio la sua vita (tentato omicidio) prima di ordinare a due albanesi un agguato con l’acido per sfregiarla (lesioni gravissime). E c’erano anche i due uomini (entrambi con precedenti per droga) che Lucia non ha mai visto in volto: Rubin Talaban — l’incappucciato che la sera del 16 aprile le tirò in faccia l’acido e scappò via mentre lei urlava guardando allo specchio la pelle del suo viso «che si scioglieva» — e Altistin Precetaj, che fece da palo all’ingresso del palazzo.
«Erano tutti ripuliti come se dovessero andare a un appuntamento di lavoro...». Lucia ripassa a memoria vestiti e piccoli particolari. La giacca, l’orologio nuovo, le scarpe lucide. Ci sono situazioni in cui la mente fissa i dettagli che vuole lei e non è detto che ci sia una ragione per notare questo o quello. Gli occhi planano su piccolezze che diventano importanti senza esserlo. «Ma io non volevo concentrarmi su cose insignificanti» racconta. «Così ho guardato nella sua direzione finché non ha alzato la testa e ha incrociato i miei occhi e a quel punto mi sono voltata dall’altra parte. Il messaggio era chiaro, tu guarderai quel che hai fatto, io guardo avanti. Volevo che vedesse il risultato delle sue azioni. Eccomi. Sono sopravvissuta. Sono qui, più viva e forte di sempre».
Non dice mai «Luca», non lo nomina nemmeno una volta. «Quelli hanno tenuto gli occhi fissi a terra per ore» ricorda riavvolgendo il filo della mattinata. Quando l’udienza è finita Lucia ha voluto uscire dalla porta principale del Palazzo di Giustizia. «Arrivando sono entrata dal passaggio interno, non sapevo se l’emotività mi avrebbe giocato qualche scherzo. Poi ho capito di non provare quasi nulla perché nulla si merita chi mi ha ridotto così. Questa è la mia partita e la conduco io. Mi sono detta ancora una volta: Lucia non nasconderti. E sono uscita dall’ingresso pubblico».
Il giudice ha chiuso l’udienza negando tutte le richieste degli imputati. Si torna in aula il 21 e 22 febbraio con un processo da celebrare «allo stato degli atti», nessuna concessione a nuovi accertamenti. Il legale di Luca Varani, Roberto Brunelli, ha fatto sapere che la famiglia di lui è disposta a donare a Lucia un appartamento come prima tappa del risarcimento danni. Offerta respinta. «È in corso una causa civile e sarà il giudice civile a decidere sul risarcimento» taglia corto Lucia. In una delle prossime udienze saranno mostrate in aula le fotografie del suo volto dall’aggressione a oggi. Un «viaggio», come dice lei, in questi mesi di sofferenza: dalle immagini dei suoi occhi «cuciti sulla faccia» come fossero quelli di una bambola, alle croste provocate dal laser. «Che a nessuno venga in mente di pensare che soffro meno perché sono forte e determinata. Che a nessuno sfugga quanto dolore si prova mentre la faccia frigge come un uovo in un tegamino o mentre le pupille diventano bianche di acido...».
Quando è uscita la gente ha applaudito. Se lo meritava tutto, quell’applauso.
Giusi Fasano
@GiusiFasano