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 2013  dicembre 10 Martedì calendario

NEL QUARTIER GENERALE DEL NAZARENO IL PRIMO GIORNO DEL ROTTAMATORE TRA FOTO DI BERLINGUER E ALLARME IMPIEGATI


Nell’ascensore che lo portava al secondo piano, mentre saliva verso quello che da lunedì diventerà il suo ufficio a Largo del Nazareno, Matteo Renzi non è riuscito a nascondere quella sensazione che improvvisamente aveva allontanato ogni altro pensiero dalla sua mente. «Sì, sento una grande emozione in questo momento» ha confessato a Francesco Bonifazi, neodeputato ma vecchio e fidatissimo amico. «Per uno come me, diventare a 38 anni il segretario del Partito democratico... Che Dio ce la mandi buona ». Poi l’ascensore si è aperto ed è apparso un sorridente Guglielmo Epifani. «Vieni, Matteo, andiamo nella mia stanza». Che da lunedì sarà la sua, di Matteo. La grande stanza in fondo al corridoio, preceduta dai tre uffici che Bersani assegnò al suo vice — Enrico Letta — al suo portavoce e al coordinatore della segreteria.
E’ cominciata così, con un’emozione che via via lasciava il posto alla fretta per le tante cose da fare — a cominciare dalla lista dei nomi per la nuova segreteria — la prima giornata di Matteo Renzi nel palazzo dove era considerato un marziano, prima di diventare nell’ordine l’irriverente ambizioso, l’insidioso concorrente e l’ultima risorsa. Erano le 13,40 precise, quando il segretario neoeletto è arrivato al quartier generale del Pd. E’ stato a lungo indeciso se venire in treno, come le altre volte, ma poi il prevedibile assedio della folla sul Frecciarossa gli ha consigliato di accettare l’offerta di Bonifazi: “Andiamo tutti con la mia macchina”. E così, partita alle 11 da Firenze, all’ora di pranzo l’auto con Renzi, Bonifazi, Maria Elena Boschi e Luca Lotti si è infilata nelle viuzze che circondano il palazzo. Ma invece di fermarsi davanti all’ingresso, dove già s’era formata una piccola folla di giornalisti, cameraman e fotoreporter, Bonifazi ha imboccato il portone del collegio del Nazareno, dal cui cortile si può accedere all’ingresso secondario del partito.
Renzi aveva già percorso altre volte il lungo corridoio che arriva fino alla grande stanza del segretario, ma ieri lo guardava — comprensibilmente — con occhi diversi. Epifani, in maniche di camicia, gli ha mostrato gli uffici che lunedì gli consegnerà ufficialmente: la stanza della segreteria, con quattro scrivanie, dalla quale si accede alla stanza di Federica — la segretaria del segretario — la cui parete è dominata da un poster con una rara foto di Berlinguer e Lama ventenni, uno accanto all’altro, e infine l’ufficio del leader, a sua volta accessibile solo dalla stanza della segretaria, protetto dunque da un doppio filtro. Guardandosi intorno, in quell’ufficio improvvisamente spazioso, Renzi ha visto i cinque quadri di arte postmoderna che Epifani ha portato da casa sua — e che dunque si riporterà via, lunedì — , il salottino per gli ospiti nell’angolo, le bandiere dietro la grande scrivania, la libreria strapiena dei tanti libri che ogni giorno arrivano “alla cortese attenzione del segretario del Pd”. Poi i due segretari — quello uscente e quello neoeletto — si sono messi a chiacchierare. «Facciamo il punto delle cose da fare» ha esordito Epifani. «Da dove cominciamo?» gli ha risposto Renzi. Il colloquio — «molto sereno» lo definirà poi il padrone di casa — è durato quasi un’ora. «Senti — gli ha detto alla fine l’ex leader della Cgil — so che hai in programma altri incontri. Perché non usi la mia stanza? E’ quella del segretario, e per tutti ora il segretario sei tu…». Un gesto elegante, del quale Renzi ha ringraziato il suo predecessore, ma rispondendogli che per il momento preferiva non entrare in una stanza che non era ancora la sua. E così si è chiuso nella stanza numero 5, dalla parte opposta del corridoio, quella che attualmente è occupata dall’unico renziano del palazzo, Luca Lotti, per il quale è pronto l’incarico più importante della nuova segreteria: responsabile dell’Organizzazione. Una stanzetta, più che una stanza. Pareti nude, una poltrona dirigenziale con lo schienale alto e tre poltroncine di similpelle dall’altra parte della scrivania. E’ qui che Renzi ha incontrato Gianni Cuperlo, offrendogli subito per uno dei suoi un posto in segreteria: offerta che lo sconfitto alla fine ha rifiutato, dopo averci pensato tu. E’ qui che subito dopo è arrivato anche Roberto Speranza, mettendo sul tavolo la sua disponibilità a dare le dimissioni da capogruppo alla Camera. «Se tu vuoi io sono pronto a lasciare il mio posto a un altro» ha detto. «No, voglio che tu resti — gli ha risposto il segretario — siamo qui per lavorare insieme ». Poi si sono stretti la mano, e Speranza è tornato a Montecitorio di ottimo umore. Ed è qui che Renzi ha completato la lista della sua segreteria — età media 36 anni, la più bassa mai vista da queste parti — dopo aver chiamato l’altro capogruppo, Zanda, che non era a Roma, per confermare anche a lui la sua fiducia.
Nel palazzo, intanto, tutti scrutavano curiosi i nuovi arrivati. Prima che imparassero a riconoscerlo, Marco Agnoletti — l’efficientissimo portavoce renziano — ha fatto in tempo ad ascoltare davanti alla coda per l’ascensore la battuta di un’impiegata: «Ragazzi, dobbiamo abituarci: presto a noi toccherà metterci in fila con la tessera del pane». Scherzava, ma mica tanto.