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 2013  dicembre 10 Martedì calendario

RENZI VARA LA SQUADRA E AVVISA IL PD


Alla sua prima uscita da segretario al terzo piano del Nazareno, Matteo Renzi si presenta con 40 minuti di ritardo in abito e cravatta grigi dopo aver parlato per oltre un’ora con Gianni Cuperlo e aver sistemato le ultime caselle della sua segreteria di sette donne e cinque uomini. Con il suo sfidante le cose non devono essere andate proprio lisce perché di fronte al leader che gli aveva fatto trovare porte spalancate per un ingresso delle minoranze in segreteria, Cuperlo alla fine ha detto no, preferendo restarsene all’opposizione.
Alcune caselle erano rimaste ancora in bianco fino all’ultimo, l’altro suo contendente era già ottimamente rappresentato dall’economia Filippo Taddei, capolista a Bologna per Civati, ma il niet cuperliano ha costretto il leader a riempirle in zona Cesarini. E a non centrare il primo obiettivo che si era dato con i suoi: quello di provare a includere anche le minoranze nella squadra per frenare le pulsioni separatiste e dare l’idea di una gestione se non unitaria almeno collaborativa tra vincitori e vinti. Da qui il ritardo sulla tabella di marcia. Renzi arriva accompagnato da Epifani per il passaggio di consegne e rivendica di aver scodellato una compagine giovane con un’età media di 35 anni, ribadendo che «la sfiducia al governo non è all’ordine del giorno» e di non voler ingaggiare alcun «braccio di ferro» con i gruppi parlamentari.
«Con l’autonomia che mi deriva dall’ incarico, ho chiesto di darmi una mano a dodici persone», dice Renzi, sfoderando i suoi nomi. Il suo braccio destro Luca Lotti avrà il ruolo che fu di Nico Stumpo con Bersani e poi di Zoggia, responsabile organizzazione, l’ex bersaniano ora renziano Stefano Bonaccini, segretario del pd emiliano curerà gli Enti locali, un altra ex bersaniana, Alessia Morani, di Pesaro, animatrice della fazione dei «non allineati» e poi sostenitrice di Renzi, seguirà la Giustizia al posto di Danilo Leva.
Taddei sarà responsabile economico, il siciliano Davide Faraone, al welfare e scuola, Francesco Nicodemo, animatore del blog «paNICO DEMOcratico» alla comunicazione, la fidata Maria Elena Boschi alle riforme. Provengono da Areadem, la componente che fa capo a Franceschini Pina Picierno (legalità) e Chiara Braga (ambiente), così come la fassiniana Federica Mogherini (Europa) e la governatrice del Friuli Debora Serracchiani, che seguirà il tema Infrastrutture. Mentre fu eletta con Veltroni Marianna Madia, ora in buoni rapporti con «giovani turchi» e lettiani, alla quale Renzi ha affidato il dossier Scuola cui tiene molto. «Quando questa mattina l’ho chiamata Marianna mi ha detto: “Ho un problema, ho un bambino di un anno e un altro in arrivo”. Io invece trovo che sia un segnale bellissimo in un Paese in cui si fanno firmare le dimissioni in bianco alle donne incinte».
Incarico delicato, di cerniera con le altre forze politiche quello del portavoce della segreteria, di cui è stato investito Lorenzo Guerini, lodigiano e abile trattativista, che ha condotto le trattative sulle regole del congresso. Civati non nasconde di esser «contento per Filippo. Ovviamente lo sapevo, perché siamo persone civili e ci diciamo le cose. Ma non è un accordo tra me e Renzi. Non è un patto per una gestione unitaria, come dicevano una volta. Lui ha usato un metodo che avrei usato anche io. Ho sempre detto che se fossi diventato segretario avrei chiesto la collaborazione di renziani bravi e cuperliani bravi».
E se le partite nel Pd non si fermano qui, perché domenica l’assemblea nazionale proclamerà la Direzione di 120 membri (20 scelti dal leader «nel mondo della società civile») che sarà l’organo esecutivo, quella con i 400 parlamentari avrà un primo stress test stasera, quando si parlerà della fiducia al governo.
«Non voglio costringere i gruppi a fare le cose che piacciono a me, non ci sarà un braccio di ferro», chiarisce Renzi, tenendo volutamente toni soft. «Ma quasi tre milioni di persone hanno indicato la direzione che deve avere il Pd. La linea sulle riforme e sulla riduzione dei parlamentari: stop al bicameralismo e un miliardo di tagli dai costi della politica. E non fare queste cose sarebbe contraddire le scelte del nostro elettorato. Non sono preoccupato di tensioni con i gruppi, che hanno il dovere di parlare, ma voglio sentire le motivazioni di chi difende 945 parlamentari o non vuole tagliare i costi della politica».
[CAR.BER.]