Notizie tratte da: Massimo Arcidiacono, Maurizio Nicita # Papaveri e Papere # Imprimatur editore Reggio Emilia 2013 # pp. 192, 14,50 euro., 10 dicembre 2013
Notizie tratte da: Massimo Arcidiacono, Maurizio Nicita, Papaveri e Papere, Imprimatur editore Reggio Emilia 2013, pp
Notizie tratte da: Massimo Arcidiacono, Maurizio Nicita, Papaveri e Papere, Imprimatur editore Reggio Emilia 2013, pp. 192, 14,50 euro.
(vedi anche biblioteca in scheda 2259094
e libro in gocce in scheda 2259091)
BERLUSCONI
Silvio Berlusconi acquista il Milan alle 12 del 20 febbraio 1986, rilevandolo da Giussy Farina (fuggito in Sudafrica per evitare l’arresto, accusato di falso in bilancio).
A luglio 1986 la presentazione del Milan. Berlusconi ordina che i calciatori arrivino a bordo di tre elicotteri, con in sottofondo la Cavalcata delle Valchirie. Cesare Cadeo, allora dirigente rossonero: «Alla richiesta successiva, però, non sappiamo che fare. Ci dice che vuole cambiare le maglie della partita e che dovranno essere rinforzate come quelle del football americano: “Cribbio, così i giocatori sembreranno più grossi e faranno più paura”. Quando gli spieghiamo che è vietato dal regolamento rinuncia all’idea».
Il primo anno Berlusconi investe 23 miliardi di lire. Fa ristrutturare il centro sportivo di Milanello e la sede di via Turati. Primo giocatore acquistato: lo stopper della Roma Bonetti.
Trofei vinti da Berlusconi in 27 anni di presidenza: 28.
«O il calcio distruggerà Berlusconi o Berlusconi distruggerà il calcio» (L’Europeo 2 agosto 1986).
Da bambino Berlusconi giocava ai Salesiani di via Copernico, a Milano. «Attaccante inguardabile» lo ricorda il giornalista Massimo Fini, suo compagno di oratorio. A 27 anni è presidente della Torrescalla, residenza per studenti della fondazione Rui. Poi cambierà nome in Edilnord. Primo allenatore Marcello Dell’Utri, poi sostituito da Vittorio Zucconi, ora firma di Repubblica. «Non mi ha mai pagato», ha poi sostenuto Zucconi. «Non vinceva. Quando lasciò, il posto in panchina lo presi io, e iniziammo a vincere», la versione di Berlusconi.
«Io faccio l’allenatore da quando ero bambino. Passavo la settimana a mimare le reti di Nordhal e a pensare come avrebbe potuto fare altri gol».
«Mio fratello Paolo segnava caterve di gol. Confalonieri era un discreto dilettante, Galliani ala destra».
Sembra che in realtà Berlusconi fosse interista. Sandro Mazzola: «Non ricordo la data precisa, ma confermo che nel 1980 durante la riunione per il Mundialito, Berlusconi mi domandò: “Scusi, Mazzola, può chiedere a Fraizzoli se è disposto a vendermi l’Inter?». Lui ha sempre smentito.
Ha raccontato Matteo Renzi dopo il suo incontro con Berlusconi ad Arcore: «Si parlava di calcio e lui si lamentava del possesso palla de Milan. Io gli ho detto: “Ma lo lasci lavorare, Allegri, non è neanche comunista!”. E lui: “Comunista? Peggio che comunista: è livornese. Li-vor-ne-se”».
Alle cene eleganti ad Arcore, tra i regali più gettonati per le ragazze c’era l’orologio del Milan con cinturino di pelle e relativa confezione riportante la scritta «Dal presidente Silvio Berlusconi campione del mondo».
«Noi del Milan siamo la realtà italiana più conosciuta nel mondo dopo la mafia e la pizza».
«Le mie parole, sia chiaro, sono Vangelo» (a proposito del modulo del Milan).
«Santità, mi lasci dire che lei assomiglia un po’ al Milan: tutti e due andiamo spesso in trasferta a portare nel mondo un’idea vincente» (in visita a Papa Giovanni Paolo II).
«L’Inter è aristocratica, il Milan è l’anima popolare di Milano e i nostri tifosi lo sanno perché c’è il papà alle spalle del Milan».
«Il Milan è stato sempre penalizzato dagli arbitri comunisti che ci hanno tolto due scudetti. Questo club durante la mia gestione avrebbe potuto vincere anche di più» (ai parlamentari lombardi del Pdl, 28 febbraio 2011).
«Con Fedele Confalonieri abbiamo fatto un patto: il primo che vede l’altro rincoglionito glielo dice».
DE LAURENTIIS
Quando nell’agosto 2004 Aurelio De Laurentiis rileva dalla sezione fallimentare del tribunale di Napoli il marchio del club, è sconosciuto ai più, al massimo viene identificato come il nipote di Dino. «Ricordo che da Capri telefonai ad Alessandro Profumo, il capo di Unicredit, per farmi finanziare l’acquisto. Mi chiese se ero matto. Sai che con te, mi disse, non ci tiriamo mai indietro, ma il calcio è un mondo inaffidabile. Però io ero tanto insistente che Profumo si convinse. Ma era estate, tutti in vacanza e il tempo passava inesorabile. Alla fine decisi di finanziare personalmente i 32 milioni di euro occorrenti per comprare dal curatore fallimentare soltanto un pezzo di carta con la scritta Napoli. Cioè, una scatola vuota». All’epoca De Laurentiis non è ancora mai entrato in uno stadio di calcio, non ha passione e non è tifoso, e quando insieme alla moglie Jacqueline va a firmare i contratti alla sezione fallimentare del tribunale, la signore chiede candida, fra lo stupore dei presenti (tutti tifosi del Napoli): «Ma dobbiamo andare a vedere le partite alla domenica?».
L’inizio non fu semplice. A De Laurentiis fu consentito persino di rinviare le prime gare degli azzurri. All’avvio del torneo di Serie C, nel settembre 2004, il club ha ingaggiato solo un direttore generale, Pierpaolo Marino, e un allenatore, Giampiero Ventura: nessun giocatore tesserato e nessuna sede sociale. La prima muta di maglie e i palloni furono acquistati in un negozio a Paestum, dove venne allestito il ritiro.
«Presidente De Laurentiis, a cosa serve il silenzio stampa?».
«Serve a non dire un sacco di fregnacce».
«Nel matrimonio si è in due, puoi convincere con i soldi una moglie a rimanere ma se ha deciso di scopare con un altro, scoperà con un altro» (a proposito di Mazzarri, maggio 2013).
«Se non rispettano gli accordi, sai i sequestri dei beni che fari con i legali. Sappiate che mio zio Dino fece sequestrare una villa a un certo Federico Fellini» (rivolto ai giocatori).
«Quando siamo arrivati in Serie A, eravamo al 523esimo posto. Allora mi sono detto 532 bucio de culo aiutami te, porta fortuna. Oggi siamo la tredicesima squadra ala mondo» (ai tifosi, maggio 2013).
CELLINO
Massimo Cellino, nato a Cagliari il 28 luglio 1956, secondo dei cinque figli di Ercole, imprenditore di origine piemontese trasferitosi in Sardegna a 27 anni per amore di Fanny Silesu. È stato titolare con i fratelli della Sem Molini, una delle maggiori aziende in Europa nella macinazione del grano. Oggi risulta nullatenente. Nel 1979 sfugge a un tentativo di sequestro e viene mandato dal padre in Australia per cinque anni, ma di questo non ha mai parlato con la stampa. Diplomato in Ragioneria, è sposato con Francesca e ha tre figli, Edoardo, Eleonora ed Ercole. Due passioni: il golf (si è costruito un campo a sei buche) e la chitarra (ha una Fender Stratocaster rossa). Presidente del Cagliari dal 10 giugno 1992, rilevandolo dai fratelli Orrù. All’epoca aveva 36 anni, ed è rimasto a lungo il presidente più giovane nella storia della Serie A.
Fama, meritatissima, di mangia allenatori. Peggio di lui solo Maurizio Zamparini a Palermo. «Gli allenatori sono come le angurie. Finché non le apri non puoi sapere quello che c’è dentro».
«Se Berlusconi avesse il mare sarebbe un piccolo Cellino» (Gabriele Romagnoli).
Superstizioso. Pretese gi giocare con il pallone bianco-rosso invece che con quello giallo-viola, costrinse Massimilia Allegri, allora suo allenatore, a cambiare prima colore della tuta e poi casa, convinto che portasse male alla squadra. Nel 2011 chiese ai tifosi di andare allo stadio vestiti di viola, perché il Cagliari avrebbe giocato con il Novara il giorno 17 e «due sfortune si elidono e fanno fortuna» (obbedirono in duemila e la squadra vinse). Ha fatto cancellare dalla tribuna il posto 17, sostituito dal 16 bis. È convinto che mangiare panini con la mortadella durante la partita porti fortuna.
Prima di ogni partita e dopo ogni gol bacia l’immaginetta di Fra’ Nazareno.
Ha passato otto anni in carcere nel 1994, per poi patteggiare 14 mesi con la sospensione della condizionale per truffa ai danni della Cee e peculato ai danni dell’Aima, l’azienda per gli interventi sul mercato agricolo. Condannato di nuovo a un anno e tre mesi (sempre sospesi dalla condizionale) per falso in bilancio nell’acquisto del Cagliari e nella compravendita dell’attaccante uruguaiano Daniel Fonseca. Nel febbraio 2013 incarcerato per tre mesi con l’accusa di peculato e falso per i lavori del nuovo stadio del Cagliari costruito a Quartu, Is Arenas. Lo stadio sarebbe sorto su una zona sottoposta a vincoli e circa 750 mila euro di soldi pubblici sarebbero stati destinati ai lavori di costruzione indebitamente. Da ultimo il sequestro di un fuoristrada e di due barche (Lucky 23 e Nelie) per dazi e imposte non pagate.
Dal 2005 ha casa a Miami, dove vive per gran parte dell’anno.
«I ricchi che sono ricchi perché non spendono sono dei morti di fame. La ricchezza va condivisa. Se non la condividi con gli altri, che cazzo te ne fai?».
LOTITO
Claudio Lotito, nato a Roma il 9 maggio 1957. Nonno e papà carabinieri, mamma insegnante, frequenta il liceo classico ai Castelli Romani, si laurea in Pedagogia. Prende la tessera di giornalista pubblicista scrivendo per il Gazzettino del Lazio e Il Tempo. Crea poi diverse aziende nel campo della pulizia e della sicurezza.
Divenne laziale all’età di 6 anni: «Grazie alla mia tata. Passeggiando incontrammo il suo fidanzato. Mi chiese per chi tifassi, risposi “boh”. E allora mi disse “devi tifa’ Lazio”».
Francesco Storace ha messo in dubbio la sua fede laziale: «L’ho conosciuto allo stadio, in tribuna vip, durante le partite della Roma, prima che prendesse la Lazio. Esultava, esultava quando mi vedeva. M’ha fatto fesso».
Sposato con Cristina Mezzaroma (un figlio, Enrico), della famiglia di costruttori romani. Con lo zio Roberto ha messo in atto operazioni finanziarie finite in tribunale, col cognato Marco (allora marito di Mara Carfagna) ha rilevato la Salernitana nel 2011, riportandola in terza serie nel 2013, con due promozioni consecutive. Con l’altro zio Pietro ha avuto contenziosi legali.
Ha acquistato la Lazio nell’estate 2004, quando il club era sull’orlo del fallimento dopo il crac finanziario di Sergio Cragnotti. Rilevò il 32% del pacchetto azionario versando 21 milioni di euro. Poi negoziò la rateizzazione di circa 150 milioni di euro di debiti in 23 anni al tasso fisso del 2,5 per cento. «Ho preso questa squadra al suo funerale e l’ho portata in condizione di coma ancora reversibile».
Mai amato dai tifosi laziali, dal 2006 è stato a lungo sotto scorta perché minacciato da frange ultrà.
Diventato personaggio grazie al suo lessico abilmente modulato fra latinismi, citazioni letterarie e detti romaneschi. Popolarità raggiunta anche grazie all’imitazione che ne ha fatto Max Giusti, apprezzata dallo stesso Lotito che a volte chiamava Giusti per suggerire degli spunti: «Giarda la mia intervista in tv: c’è materiale per te».
Nel 1992 arrestato con l’accusa di turbativa d’asta e violazione del segreto d’ufficio. Al momento del fermo gli trovano una pistola in tasca. Processo terminato con la prescrizione. La Corte d’Appello di Milano nel 2012 lo ha condannato per aggiotaggio a 18 mesi di reclusione e 40 mila euro di multa insieme allo zio della moglie, Roberto Mezzaroma: nel 2005 i due avrebbero raggiunto un accordo occulto per evitare il lancio dell’Opa sule azioni della Lazio (Mezzaroma acquistò il 14,6 per cento). Nell’ambito del processo Calciopoli nel novembre 2011 è stato condannato in primo grado a un anno e tre mesi e 25 mila euro di multa per frode sportiva. Nella primavera 2013 Report di Milena Gabanelli indaga sui suoi rapporti con Fabrizio montali, indagato per corruzione, intestazione fittizia di beni, riciclaggio con aggravante di finalità mafiosa. Gli inquirenti ritengono Montali il prestanome di Enrico Nicoletti, storico boss della Banda della Magliana. La Metronotte Nuoca città di Roma di Montali in collaborazione con la Union Security di Lotito si aggiudica il 60 per cento degli appalti regionali per la vigilanza negli ospedali, un affare da circa 300 milioni di euro. Lotito ha smentito e minacciato querele.
«Pagare moneta vedere cammello».
«Lotito non vende sogni ma solide realtà».
«Il pallone è per tutti. Il calcio è per pochi».
«Guarda che Roma è ’na trappola piena de fossi. Manco te n’accorgi e te ritrovi de sotto» (il benvenuto all’allenatore Petkovic).
«Io non sono tecnologico, vede. Ammetto la mia ignoranza. Io sono amanuense».
«T’ho portato a Roma, è stupenda, e vuoi pure lo stipendio?» (al difensore argentino Lequi appena ingaggiato).
«Ricordate ’na cosa di Ma’: con Lotito risultato garantito. Poi c’è ’a versione co’ ’e donne che t’aa spiego dopo» (al giornalista Sky Gianluca Di Marzio).
PREZIOSI
Enrico Preziosi, nato ad Avellino il 18 febbraio 1948. Imprenditore. Presidente del Genoa. Ha creato nel 1978 la Giochi Preziosi, azienda di giocattoli, seconda in Europa dopo la danese Lego e quarta nel mondo dopo le americane Mattel e Hasbro. Divorziato, tre figli, Fabrizio, Matteo e Paola, quest’ultima sposata con il centrocampista portoghese Miguel Veloso (per due stagioni al Genoa). Residente in Svizzera, fino al 2012 ha posseduto anche la maggioranza del Football Club Lugano.
Ama Porto Cervo, cantare e cucinare (piatti forti: zucchine alla scapece e peperoni in agrodolce), frequenta il bagno Roma di Levante a Forte dei Marmi, dove un posto nella sua tenda è ambitissimo.
Famiglia né ricca né povera, terzo di tre figli, il papà ha un’orologeria, la mamma è maestra. Raggiunta la licenza media lavora con il padre nel negozietto in piazza della Libertà, ad Avellino». Quando muore il padre va in Calabria a posizionare guardrail in autostrada, poi va al nord dove fa mille lavori: scaricatore, operaio, magazziniere, venditore di elettrodomestici: «Non li ricordo nemmeno tutti e non ho molta voglia di parlarne».
«Un giorno, aiutavo in un negozio di elettricità, entrò un signore che produceva favole per bambini e voleva riprodurle in cassetta. Una alla volta era troppo lento e la traccia si sbiadiva… Gli consegnai un’apparecchiatura per farne 12 alla volta, diventammo soci. Lui ci metteva le favole, io i nastri… Tutto cominciò così» (a Franco Tomati, La Gazzetta dello Sport).
A trent’anni fonda la Giochi Preziosi nel garage di casa, a Baruccana di Seveso. In pochi anni il successo: s’inventa l’Emilio e ne vende un milione e mezzo di pezzi, poi il Canta Tu, un karaoke casalingo, e ne vende due milioni ecc.
Prima di squadra di calcio acquistata il Saronno nel 1992, poi nel 1997 il Como che porta dalla C1 alla A in cinque anni. Nel 2003 prende il Genoa in B. Nell’ultima partita del campionato 2004/2005, l’11 giugno 2005 a Marassi, i rossoblù battono 3 a 2 il Venezia già retrocesso e conquistano al promozione in A. Tre giorni dopo i carabinieri fermano un’auto con a bordo Pino Pagliara, dirigente del Venezia, a Cogliate, dove ha sede la Giochi Preziosi. Addosso Pagliara ha due buste su carta intestata del Genoa con dentro 250 mila euro e il contratto di vendita del calciatore paraguaiana Ruben Maldonado. È la prova della combine avvenuta tre giorni prima. Il Genoa viene retrocesso in Serie C, Preziosi squalificato per cinque anni. L’inchiesta penale si conclude solo nel 2012 con la condanna in Cassazione del presidente genoano a quattro mesi per frode sportiva e con un’inattesa verità processuale: Preziosi avrebbe pagato il Venezia per evitare che andasse in porto l’accordo dei veneti con il Torino, anch’esso in corsa per la promozione.
Lo storico allenatore del Genoa Franco Scoglio, morto il 3 ottobre 2005 d’infarto in uno studio di una tv privata mentre litigava al telefono con Preziosi.
«Credo di essere uno degli uomini più intelligenti d’Italia».
«Le fideiussioni sono un problema di chi non ha i soldi. Io li ho sempre avuti».
VECCHI PRESIDENTI
«Sogno di vincere con un gol a tempo scaduto, in fuorigioco e di mano» (Peppino Prisco).
«Quando stringo la mano a un milanista, poi me la lavo. Quando stringo la mano a uno juventino, conto le dita» (Peppino Prisco).
«Giochiamo in Provenza… In Provenza di cosa?» (Edmeo Lugaresi, presidente del Cesena).
«Nella vita c’è chi può e chi non può. Io può» (Angelo Massimino, presidente del Catania).
«Presidente pensa a De la Pena?». «No, penso a De la Fregna» (Franco Sensi).
«Moggi? Lo mando via co ’na scoreggia» (Franco Sensi).
«Galliani? Ma Galliani nun conta un cazzo…» (Franco Sensi).
«Senza presunzione, non credo che ci sia nessuno che abbia la mia competenza» (Adriano Galliani).