Augusto Frasca, Il Tempo 9/12/2013, 9 dicembre 2013
QUELL’OLIMPIADE CHE NON PIACEVA A DE COUBERTIN
Fiaccola spenta sotto le mura del Cremlino. Sessantacinquemila chilometri da percorrere in centoventitrè giorni. Trasferta al polo Nord su un rompighiaccio atomico e passeggiata spaziale. Ritardi negli impianti. Problemi di conservazione della neve a Krasnaja Poljana, a due passi dal cumulo di terra senza croce e nome che copre quanto resta di Lev Tolstoj. Allarmi terrorismo. Divieto agli atleti di casa di esprimersi sulle leggi contro l’omofobia. Costi esorbitanti, trenta milioni di euro di denaro pubblico. Centomila operai impegnati saltando Natale, Capodanno e feste comandate.
Giorni di fuoco, dunque, dal 7 al 23 febbraio: tutto ciò, tra vero e falso, i Giochi invernali di Sochi, città della Repubblica russa, 320.000 abitanti nel territorio di Krasnodar sulla sponda nord-orientale del Mar Nero ai piedi del versante occidentale del Caucaso, sede della ventiduesima edizione olimpica dopo l’iniziale del 1924, novanta anni esatti indietro nel tempo. Tra vero e falso, a sessanta giorni dall’inizio: come spesso alla vigilia di scadenze olimpiche, vuoi perché le polemiche poggiano sul concreto, vuoi per cattiva informazione, voi ancora per strumentazioni orchestrate ad arte, fiocca dal freddo putiniano una tale massa di notizie, di esagerazioni e di allarmi da rendere retorica - vari essendo i modi di praticare conflitti bellici senza spargimento di sangue - la tregua olimpica sottoscritta di recente, all’unanimità, dalle Nazioni (dis)unite.
Nulla di tutto ciò (né problemi di neve, né terrorismo, né omofobia, e nemmeno fiaccola, apparsa nel ’36 all’Olimpiade di Berlino con il fuoco di Olimpia acceso da Kyril Kondylis) il 25 gennaio 1924, primo dei dodici giorni fissati per la disputa a Chamonix dell’edizione inaugurale dei Giochi olimpici invernali, parto non facile, a lungo apertamente avversato da de Coubertin in quanto espressione di discipline sportive regionali, prive quindi del carattere di universalità voluto dal barone francese. In realtà, gare sul ghiaccio si erano già svolte nell’edizione del 1908 e del 1920. Svegliandosi dal torpore, nel 1921 il CIO decise che in concomitanza dell’Olimpiade estiva del 1924, assegnata a Parigi, avesse luogo sullo stesso territorio nazionale una rassegna invernale, inizialmente confinata nella dizione di «Settimana degli sport invernali» e definitivamente promossa a posteriori, nel 1925, al rango olimpico.
Nella magnifica cornice del versante settentrionale del Monte Bianco, Chamonix battezzò una dignitosa rassegna a cinque cerchi. Sedici nazioni presenti, gran parte europee, con aggiunta di Stati Uniti, Canada e Giappone, e con Estonia, Lettonia e Lituania separate, prima d’essere ingoiate nell’impero sovietico. Escluse, in quanto ritenute responsabili dell’avvio del primo conflitto mondiale, Austria, Belgio, Germania, Ungheria, Turchia. Cinque discipline, bob, hockey, pattinaggio artistico e di velocità, sci nordico. L’Italia, portabandiera il bobbista Leonardo Bonzi, rispose all’appello con 14 atleti, nessuna donna. Gli azzurri si classificarono al sesto posto nel bob a quattro, piazzando quattro atleti tra il nono e il tredicesimo nella 50 chilometri di fondo, primi fra i paesi centro europei.
La Norvegia fece man bassa di affermazioni con 17 medaglie complessive, tre delle quali vinte da un trentenne originario di Lier, Thorleif Haug, formidabile fondista e secondo a pochi nel salto dal trampolino. Molti anni dopo la sua scomparsa, la Norvegia lucidò la memoria dell’atleta dedicandogli prima un’emissione filatelica e successivamente, nel 2004, una statua in bronzo. La Finlandia prevalse nel pattinaggio, vincendo tre medaglie d’oro con Arnold Thunberg, 5.000 e 10.000 metri e combinata.
Medaglia d’oro nella giornata d’esordio, prevalendo su ventisei avversari, fu un ventiquattrenne originario della Contea di Clinton, Charles Jewtraw. Il giovanotto s’era irrobustito fin dalla prima infanzia trafficando nel ghiaccio artificiale prodotto dal padre, presentandosi a Chamonix forte dei titoli statunitensi vinti nel ’21 e nel ’23. Corse i 500 metri in 44 secondi netti, e s’appese al collo la prima medaglia d’oro nella storia dei Giochi olimpici invernali. Morrà quasi centenario, a Palm Beach, nel 1996. Ultima classificata nel pattinaggio artistico, Sonja Henie, norvegese, alla soglia dei dodici anni: il futuro s’impadronirà del suo nome.
Augusto Frasca