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 2013  dicembre 07 Sabato calendario

L’ULTIMO COMUNISTA (VA ANCORA AL MASSIMO)


Il senso di Gianni per i titoli, da canzoni e poesie e libri e saggi e antologie varie. Accadde che era il febbraio del Novantasette, nel secolo scorso in piena era dalemiana, e il Pds celebrò il suo congresso a Roma, al Palaeur. Il palco era come infiocchettato da una frase lunga e circolare di Rainer Maria Rilke, strappata da Lettere a un giovane poeta: “Il futuro entra in noi molto prima che accada”. Quando lessero l’impegnativo verso, alcuni compagni poco inclini alle letture di stampo mitteleuropeo ebbero un riflesso pavloviano. Si portarono la mano destra sul cavallo dei pantaloni e si grattarono. “Ahò, ma è una campagna contro il cancro?”. Per l’ardita scelta di Rilke, fino a quel momento citato dai giovani missini rautiani ai Campi Hobbit, i sospetti si addensarono sul cranio lucido di Fabrizio Rondolino, portavoce dalemiano. Ma lui smentì: “Ringrazio per l’attribuzione ma l’idea è veramente di Gianni Cuperlo. E Cuperlo è triestino. Una faccenda tra mitteleuropei”.
Fossati, Ligabue e ‘Forza, Italia’
Gianni Cuperlo, con l’accento sulla u, in quel congresso fu irrefrenabile. Al teatro Olimpico a Roma allestì una serata, riservata ai delegati. per far eseguire al maestro Ennio Morricone l’inno del Pds, destinato all’oblio perpetuo, e per far declamare a Vittorio Gassman alcuni testi di Gramsci. Sulla musica, il biondo Cuperlo, che fu definito come “il più veltroniano dei dalemiani”, vanta un palmares notevole. Fu lui a suggerire la fossatiana Canzone Popolare per il trionfo ulivista di Romano Prodi, nel 1996. E fu sempre lui, che otto anni dopo, quando il Professore ritornò dall’Europa di Bruxelles, scelse Una vita da mediano di Ligabue per la convention di benvenuto, sempre al Palaeur di Roma. Laddove c’è una canzone lì c’è Cuperlo. Anche quando i Ds chiusero bottega e Piero Fassino si commosse a Firenze, nel 2007. Rino Gaetano, stavolta: Il cielo è sempre più blu. Il mite mitteleuropeo Cuperlo, di fama pettinatissima come la chioma bionda, osò pure l’impossibile. Nel 2004, da responsabile della comunicazione diessina, lanciò una campagna di manifesti 6x3 dal sapore marziano. Simbolo dei Ds e poi: “Forza, Italia”. Con la virgola. Si difese così: “Ci siamo riappropriati, in maniera ironica e giocosa, di una bella espressione”.

Traslochi, scatoloni e Sta-tuto
Gianni Cuperlo è nato a Trieste all’inizio degli anni sessanta. Precisamente: il 3 settembre 1961. E anche questo, per lui, è motivo di rimpianto mitteleuropeo. La sua autobiografia politica, Basta zercar, in dialetto triestino, che va intesa come “è sufficiente cercare” non in senso assertivo come “basta cercare”, cioè fine della ricerca, dicevamo la sua biografia politica, che risale al 2009, è intestata alla generazione dei traslochi e degli scatoloni. La sua. “Fossimo nati dieci anni prima, avremmo occupato il liceo. Noi siamo i migliori a fare i traslochi”. Da un simbolo all’altro, da una sede all’altra. Attorno a Cuperlo, immobile funzionario di partito, sono cambiati quattro simboli: Pci, Pds, Ds e infine Pd. Cinque se contiamo la Fgci, la federazione dei giovani comunisti. Lui è stato l’ultimo segretario della Fgci. A indicarlo, nel 1988, fu il suo predecessore, Pietro Folena. Poi il Muro crollò, il Pci cambiò nome e lui si portò a casa, svitandola, la targa con falce e martello dal-l’entrata di via dell’Ara Coeli, che fa angolo con via delle Botteghe Oscure. Cuperlo divenne comunista che era un ragazzino di 14 anni. Discuteva con un operaio triestino e questi, saggiamente, lo redarguì: “Scolta, xe inutile far polemica col partito... gavemo un Statuto no? E te sa perché el se ciama Statuto? Perché dentro sta-tuto. Basta zercar!”. Quello fu l’imprinting comunista di Cuperlo, che ha segnato la sua carriera in modo indelebile. Perché il mite, biondo, colto Cuperlo è come l’apparenza. Inganna.

Forrest Gump, fedele alla ditta
Da un lato c’è il Cuperlo Uno, che si batte contro la povertà, per i diritti dei gay, per le energie ecosostenibili, per gli esodati e la fecondazione assistita, controleoligarchiedellafinanza.Dall’altroc’èilCuperlo Due: la fedeltà sempiterna all’Apparato e alla Ditta (“inutile far polemica col partito”). In una sola parola: il realismo che ingoia prima il dialogo con Berlusconi e poi le larghe intese. Non a caso, il colto Cuperlo di ascendenza mitteleuropea, negli ultimi vent’anni si è sempre trovato sui luoghi dei delitti dalemiani. Compare in tutte le foto ricordo. Come Forrest Gump. Lui stesso, alla fine di questa campagna per le primarie, ha ammesso: “Mi sento sfinito come Forrest Gump”. Passato dalla Sinistra Giovanile al Partito nel 1992, Cuperlo è stato l’ombra di Massimo D’Alema. Il suo ghost writer. A fasi alterne, ha fatto parte anche lui del celebre staff di Lothar, pur essendo biondo e non rasato come Minniti, Velardi e Rondolino. Cuperlo trascorreva le notti a leggere, studiare e scrivere, questo il motto con cui veniva sfottuto dagli altri dello staff, e poi D’Alema preferiva andare a braccio, snobbando il discorso preparato. Ma il Capo, un giorno, gli riconobbe la fatica da sgobbone: “Io mi occupo di politica. Velardi e Rondolino cazzeggiano. L’unico che lavora è Cuperlo”. Una frase passata alla microstoria del dalemismo. Il quale dalemismo è sempre stata un’idea a metà, tra fallimenti e retromarce. L’unica volta che si realizzò fu nella Bicamerale fatidica del ‘97-‘98. E quella volta D’Alema lesse davvero il testo preparato da Cuperlo e condiviso da Berlusconi.

Pezze al culo e girotondini
Un caposaldo del dalemismo, il famoso Paese normale, diventato anche volume, è ovviamente merito di Cuperlo. Per D’Alema, ha scritto anche un altro tomo, La grande occasione. In realtà ne cominciò anche un terzo, dedicato al Kosovo, ma la leggenda postcomunista narra che il Capo si addormentò durante la lettura del manoscritto e a quel punto decise di trasformare l’opera in un libro-intervista con Federico Rampini. Quando D’Alema andò a Palazzo Chigi, dopo il ribaltone anti-prodiano, era l’autunno del 1998, Cuperlo rimase al partito, guidato dal nemico Veltroni. L’allora premier lo richiamò in servizio più tardi, per la campagna delle regionali che segnò il destino del suo governo. A “Gianni” fu affidato il compito di correggere gli errori di comunicazione dei ministri. Impresa vana. Nel 2000, D’Alema perse le regionali e si dimise. Per “Massimo”, Cuperlo ha studiato, messo su fondazioni e centri studi e riviste. E del dalemismo è stato la testa d’ariete quando si trattò di ingaggiare la madre di tutte le battaglie a sinistra, quella tra i riformisti e il resto del partito: cacciare Marco Travaglio dalla fu Unità di Furio Colombo e Antonio Padellaro. Travaglio scriveva Bananas, rubrica lettissima, e una mattina del gennaio del 2004 partecipò a un’assemblea girotondina a Roma, al Teatro Vittoria. Disse, con riferimento a D’Alema e ai dalemiani: “Sono entrati a Palazzo Chigi con le pezze al culo e sono usciti ricchi”. Cuperlo vergò decine di articoli. Sintesi: “Di Pietro e Travaglio esprimono una cultura di destra”. Il caso Travaglio divenne metafora perfetta del conflitto tra i riformisti e l’altra sinistra, liquidata come radicale e giustizialista. Antonio Padellaro, intervistato da Claudio Sabelli Fioretti, per il magazine del Corriere della Sera, chiosò: “I militanti lo amano moltissimo, il partito lo detesta. Ma un partito non dovrebbe avere paura di Travaglio”.

Da Mediaset fino a Re Giorgio
A differenza del giustizialismo cosiddetto, il berlusconismo non è mai stato una bestia nera per Cuperlo. Anzi. Al secondo congresso del Pds, nel 1995 alla Fiera di Roma, si verificò un evento eccezionale. Arrivò Silvio Berlusconi. Era il 7 luglio. Il Cavaliere entrò alle cinque del pomeriggio ed era sudato, stretto nel solito completo blu matrimoniale. Ad accoglierlo, nel retropalco, furono in quattro: D’Alema, Velardi, Cuperlo e Ligas. B. strinse la mano a tutti e consegnò una copia del suo discorso. Trentuno minuti d’intervento. Undici anni dopo, Cuperlo - fede rossonera - fu il dalemiano incaricato di contattare Mediaset per la campagna per il Quirinale. L’Unione aveva vinto le elezioni, di pochissimo. D’Alema aveva già perso contro Bertinotti, per la presidenza della Camera. Tra aprile e maggio si giocò la partita per il Colle. La candidatura di “Massimo” fu lanciata ufficialmente a tutti i livelli. Fedele Confalonieri ha detto, recentemente: “Cuperlo lo conosco bene , è molto intelligente”. Il nome di D’Alema, però, non sfondò a destra. Le ore più drammatiche si consumarono la domenica dell’otto maggio. Il giorno prima, l’opposizione aveva fatto pervenire la sua rosa: Marini, Amato, Dini, Bonino. Nessun Ds. La riunione decisiva si tenne al Botteghino, nuova sede del partito. Erano in cinque: Fassino, D’Alema, Cuperlo, Chiti e Latorre. Dovevano ratificare la resa e rassegnarsi al nome di Giorgio Napolitano. Il peccato originale, su cui è poggiata la monarchia odierna, si formò tra loro cinque.

Il panfilo e l’amico di Siena
Velardi e Rondolino da tempo hanno un sito intitolato The Front Page. Alla fine di novembre, Massimo Micucci, altro componente del fu staff dalemiano, ha rinfacciato a Cuperlo la sua doppiezza. Micucci scrive infatti che nel congresso del ‘97 già citato, Cuperlo ascoltò con grande attenzione il finanziere Gianni Costamagna, direttore di Goldman Sachs per l’Europa. Uno di quegli oligarchi che parteciparono alla leggendaria riunione del ‘92 sul panfilo Britannia. L’apice della tecnocrazia. Parole d’ordine: liberismo e privatizzazioni. Oggi invece, nota Micucci, Cuperlo fa la guerra al finanziere Serra amico di Renzi: “Ti fai applaudire dicendo che doveva esserci un minatore del Sulcis sul palco invece di Serra. Indossi un abito non tuo”. Cuperlo ha avuto anche un amico del cuore: Giuseppe Mussari, travolto dallo scandalo del Monte dei Paschi di Siena, la cassaforte rossa. Mussari venne designato presidente della fondazione Mps nel 2001, quando Cuperlo era ancora ghost writer del Capo.

Morte a Venezia, compagne
Il senso di Gianni per i titoli, alla fine, ha compiuto la sua parola. Per le primarie, Cuperlo ha scelto uno slogan non per gli altri, ma tutto per sé. “Bello e democratico”. Ironica ambiguità, d’ispirazione mitteleuropea naturalmente. Alcuni suoi compagni e colleghi, un giorno, lo soprannominarono Morte a Venezia, per questa ridondanza austro-imperiale. Umorale. Dicono alterni “periodi in cui non parla con nessuno” ad “altri in cui è di una simpatia travolgente”. Franco Grillini se ne ricordò in un’intervista: “Sarebbe il miglior ministro per l’Omosessualità”. Raccontano abbia sempre riscosso un discreto successo tra le compagne. E che lo abbia affrontato con morigeratezza triestina. Da un quarto di secolo sta con Ines Loddo, sarda e comunista più di lui. “Sto zitta da vent’anni - ha scritto due giorni fa su Facebook - Ora lo devo dire: come ti gonfia il cuore l’amore per la sinistra”.