Lucio Caracciolo, la Repubblica 9/12/2013, 9 dicembre 2013
UCRAINA, LA RIVOLUZIONE PER L’EUROPA ABBATTE ANCHE LA STATUA DI LENIN
LA STATUA di Lenin abbattuta e decapitata nel pieno centro di Kiev da alcuni manifestanti nazionalisti è il simbolo della posta in gioco oggi in Ucraina. La memoria della resistenza “bianca” contro i bolscevichi, negli anni fondativi del potere sovietico, è stata riscoperta.
LO HA FATTO quella grande parte di ucraini che si oppone al progetto putiniano di riportare il paese nella sfera d’influenza di Mosca. Per costoro Lenin non è solo il padre dell’impero sovietico che li oppresse per settant’anni, è il fustigatore dell’indipendentismo ucraino che alla fine della prima guerra mondiale aveva sperato di emanciparsi dalla stretta russa. L’autore dell’ultimatum contro i secessionisti “borghesi”, con cui il 17 dicembre 1917 il nascente potere sovietico volle chiarire che non avrebbe tollerato l’indipendenza ucraina.
Ucraina contro Russia, Russia contro Ucraina. Ancora una volta, l’idea nazionale ucraina si definisce in opposizione alla Mosca imperiale. Dal punto di vista del Cremlino e di quasi tutti i russi – come pure dei russofoni dominanti nelle regioni dell’Est ucraino – la collocazione geopolitica di Kiev, in quanto culla dell’impero russo, è con Mosca. Punto. L’indipendenza ucraina equivale per loro all’amputazione dello spazio storico e spirituale della madre Russia.
Anatema non solo per i manifestanti che da settimane occupano il centro di Kiev e premono sui palazzi del potere, ma soprattutto per le regioni occidentali del paese. Dal 24 agosto 1991, quando l’Ucraina si è proclamata indipendente – peraltro nei confini disegnati dal potere sovietico, prima da Lenin poi da Stalin e in ultimo da Krusciov – quello spazio galiziano, segnato dalle influenze austro-ungariche e polacche, oltre che dalla religione cattolica, è il bastione di coloro che aspirano a compattare l’identità nazionale in opposizione al nemico russo.
Sarebbe improprio identificare la piazza che reclama da settimane le dimissioni del presidente Yanukovich, in quanto “marionetta di Putin”, con gli ultranazionalisti di Svoboda – autori della decapitazione simbolica di Lenin – che negli slogan e nell’iconografia evocano inconfondibili riferimenti hitleriani, o con i giovanotti in passamontagna nero che esprimono l’ala violenta del movimento. Questa non è una piazza teleguidata. È una protesta diffusa, spontanea, talvolta contraddittoria, che ieri nella gelida Kiev ha mobilitato centinaia di migliaia di persone di vario orientamento politico, disgustati dal regime ed esasperati dalla grave crisi economica. Gli stessi partiti di opposizione, al solito indeboliti dai narcisismi dei capi, faticano a orientarla. I manifestanti non vogliono replicare l’esperienza della “rivoluzione arancione”, dal cui pallido esito prese slancio, nel 2010, la rivincita di Yanukovich e dei filo-russi. Ma il vero collante che tiene insieme la protesta è il rifiuto della Russia. L’aspirazione all’Europa è il riflesso della russofobia. L’irriducibile ostilità fra indipendentisti e russofili ha radicalizzato le forze in campo.
Questo scontro ci riguarda molto da vicino. Vi emerge infatti la differenza fra l’Europa classica dei padri fondatori, che s’immaginava superamento dei nazionalismi, e la nuova Europa delle marche di frontiera fra noi e i russi, che nell’Unione europea vede, all’opposto, uno strumento delle rispettive rinascite nazionali, minacciate dalla Russia oggi come ieri dall’Urss. E l’anticamera della Nato. È anche per questo, oltre che per le convenienze energetiche e strategiche, che la “vecchia Europa” ha finora evitato di cavalcare l’onda delle russofobie dell’Est, sfidando Mosca. Se però la crisi ucraina si inasprisse, saremmo chiamati a scegliere fra queste due idee di Europa. E di Russia. L’opzione finale non è scontata.