Roberto Brunelli, la Repubblica 9/12/2013, 9 dicembre 2013
LA BOMBA DI HITLER
ST. GEORGEN AN DER GUSEN (Austria)
Il giallo dell’atomica di Hitler ricomincia qui, nelle gallerie sotterranee del lager di Gusen. A due passi dalle viuzze immerse nel verde che oggi schierano tante incantate villette familiari e dove settant’anni fa i deportati marciavano a migliaia, vestiti di stracci, denutriti, come fossero già morti. Qui, in mezzo ai boschi magici dell’Austria felix, a un tiro di schioppo dai laghi delle Alpi. È in questo sistema di tunnel scavato giorno e notte con le proprie mani e a costo della vita di decine di migliaia di prigionieri del Reich che oggi si apre una nuova pagina sul mistero — su cui gli storici indagano dal 1945 — dell’“arma finale” del nazionalsocialismo ormai in rotta. Quella che avrebbe dovuto salvare la Germania dal disastro incombente e capovolgere i destini ormai segnati della Seconda guerra mondiale.
«Le misurazioni da noi compiute mostrano che i valori di radon presenti nelle gallerie di Gusen sono molto alti», rivela a Repubblica il professor Franz Josef Maringer, dell’Istituto geologico dell’Università di Vienna. Livelli di radioattività tali da rappresentare indizi seri secondo cui in queste gallerie — chiamate in codice “Bergkristall” (cristallo di montagna) e costruite per assemblare i caccia a reazione Messerschmitt — sono stati condotti tra il 1944 e il 1945 esperimenti nucleari su larga scala. Evidenze scientifiche compatibili con uno scenario secondo il quale proprio qui i volenterosi scienziati al servizio del Führer abbiano cercato di realizzare l’ordigno nucleare.
Quel che emerge è una sorta di immenso laboratorio atomico, una vera e propria città sotterranea. Il regista Andreas Sulzer, che da due anni sta lavorando con un team di esperti internazionali ad un documentario su Gusen, afferma di essere entrato in possesso di documenti sui “progetti segreti” avviati in queste gallerie con l’approvazione di Heinrich Himmler, il ministro dell’Interno del Reich e capo delle SS. «Ogni giorno arrivavano qui treni carichi di materiale scientifico», dice Sulzer. Che parla di un viavai «altrimenti inspiegabile » di scienziati e tecnici.
La vicenda comincia nel marzo 2012, quando la società immobiliare proprietaria delle gallerie, la Big, chiama proprio il professor Maringer per un urgente consulto dopo che una misurazione amatoriale nei tunnel aveva mostrato dei valori radioattivi «26 volte superiori alla norma» (2,4 microsievert all’ora). Il primo responso dello scienziato sembra dare un esito tranquillizzante. «Radiazioni basse, di origine naturale», sintetizza la Big. Che, nondimeno, dispone l’immediata chiusura delle gallerie.
Segue il silenzio. Assoluto. Eppure la nota firmata da Maringer insieme al collega Andreas Baumgartner apriva scenari inquietanti: «Abbiamo prelevato molti campioni dal terreno. Nelle prossime settimane procederemo ad un’analisi radiometrica di tracce anche minime di radioattività che possono darci informazioni su attività di tecnica nucleare durante la Seconda guerra mondiale». Sui media austriaci nessuna notizia delle ricerche del professore. Che però oggi conferma le sue misurazioni «più dettagliate». E ribadisce: «Ci sono segni che nel complesso sotterraneo di Gusen si siano svolti esperimenti nucleari da parte dei nazisti». Maringer sottolinea di non poter dare cifre esatte, trattandosi di dati sensibili relativi ad un’indagine estremamente «insidiosa ». Ma altre fonti, consultate da Repubblica, parlano di ben 24mila becquerel a metro cubo: 300 becquerel al metro cubo è il limite entro cui si ritiene non vi siano danni per la salute.
Di sicuro, se c’è un segreto, è ben custodito. Oggi — se anche si potessero visitare — solo 1,8 chilometri di gallerie sarebbero percorribili, su 8 complessivi. Dopo la liberazione i sovietici fecero esplodere alcune parti delle gallerie, poi negli anni passati la Big — subissata di critiche — le ha riempite di calcestruzzo, spendendo fino a 12 milioni di euro: «Rischio di crolli».
Gusen era un sottocampo di Mauthausen, ma da un certo momento in poi la sua estensione è stata anche maggiore di quella del campo principale: contava su due lager (Gusen I e II) e su un immenso sistema di tunnel. I detenuti erano quasi tutti prigionieri politici o di guerra, prevalentemente polacchi, russi, ungheresi, tanti italiani. In principio era “solo” un campo di lavoro e di annientamento: la pianificazione prevedeva qui l’uccisione sistematica di 25mila persone l’anno, secondo il gelido calcolo che in media un detenuto non sarebbe sopravvissuto più di tre mesi. Poi, il 9 marzo 1944, è iniziato il cantiere per il “Bergkristall”: chi non soccombeva durante la costruzione dei tunnel o per denutrizione o malattia, veniva gasato o fucilato. Le esecuzioni di massa erano la norma. Appena sono arrivati gli americani, dopo aver trovato montagne di corpi ammassati l’uno sull’altro, hanno dato tutte le baracche alle fiamme. Fuoco purificatore in tutti i sensi: per prima cosa si trattava di scongiurare epidemie. Non è rimasto niente.
Ma la memoria è dura a morire. Il filo rosso che sembra mettere insieme i pezzi del “mosaico atomico” corrisponde ad un nome: Karl Emil Fiebinger. Praticamente tutti i progetti sotterranei dei nazisti portano la sua firma. Le gallerie di Ebensee, destinate al collaudo dei missili V2, un’installazione nel Tirolo, il sottosuolo di Gusen e un sistema di tunnel in Turingia. Quest’ultimo — come si evince da un documento del ‘47 classificato come “confidenziale” dall’intelligence britannica — avrebbe dovuto ospitare nientemeno che il quartier generale sotterraneo di Hitler. E qui entrano di nuovo in scena le ambizioni nucleari del Führer. Ebbene, in Turingia i deportati scavarono dal novembre 1944 all’aprile 1945 ben 25 gallerie ed il capo di questo progetto era Fiebinger. Lo storico Rainer Karlsch, che al tema ha dedicato un libro nel 2005, sostiene che in questa aerea dal 1944 un gruppo di scienziati guidati dal fisico Kurt Diebner — parallelo al gruppo di ricerca “ufficiale” di Werner Heisenberg — avrebbe messo a punto quella che oggi chiameremmo una “bomba sporca”. I test, dice Karlsch, furono due: uno sull’isola di Rügen, nel Mar Baltico, e una a Ohrdruf, appunto in Turingia. Lo storico cita dei «testimoni oculari », che qui il 4 marzo 1945 avrebbero visto «un lampo luminoso come centinaia di fulmini» seguito da un’immensa onda d’urto. Fatto sta che Fiebinger nel 1947 fu assunto dal governo degli Stati Uniti: in queste veste contribuì — guarda caso — alla realizzazione di rampe di lancio per missili balistici intercontinentali. A testata nucleare, per intendersi.
Nel 2006 in Turingia fu misurata la radioattività dell’area. I risultati sono controversi. I dati di Maringer fanno invece riemergere un segreto nucleare a lungo dimenticato. Sulzer, il regista, dice anche di avere indagato sull’esperienza dello scienziato Viktor Schauberger, che nel ‘44 prestò — da detenuto — la sua opera in questo sottosuolo: «Schauberger parlava esplicitamente di “distruttori dell’atomo” che avevano lavorato qui nei tunnel». Tutto l’affaire Gusen, afferma Karlsch, «merita ulteriori approfondite ricerche». Oggi, a un centinaio di metri dall’ingresso della galleria — che è chiuso, sprangato, e sprofonda nella quiete assoluta della campagna austriaca — dei bambini schiamazzano felici in un parco giochi più o meno improvvisato. La vita va avanti, si dice. Ma la memoria pretende ancora risposte. E l’inferno non molla la presa.