Michele Brambilla, La Stampa 9/12/2013, 9 dicembre 2013
LA SFIDA (MANCATA) DEL MOVIMENTISTA: ESSERE IL RENZI DI RENZI
Si presenta alle ventidue e cinque con gli occhi lucidi ma con la consueta voglia di scherzare: «Ho mandato un sms a Renzi con scritto: “Va be’, così non vale...”». Il suo discorso è breve e un po’ dimesso, anche se rivendica con orgoglio di essere stato Davide contro Golia: «Abbiamo fatto una corsa difficile, gli opinionisti dicevano che non avremmo passato il 5 per cento. Invece abbiamo trecentomila voti, che sono un nuovo inizio per noi. La nostra campagna non finisce qui».
Civati ripeteva che avrebbe vinto, ma non ci credeva neppure lui. Aveva però un obiettivo realistico: ottenere un risultato che gli permettesse di diventare il Renzi di Renzi: cioè il pungolo del rinnovamento, colui che avrebbe fatto apparire già vecchio il nuovo. Per ottenere tutto ciò, aveva impostato tutta la sua campagna elettorale su un punto: dimostrare che c’è sempre qualcuno più giovane.
Insomma la stessa storica arma di battaglia di Matteo Renzi. Solo dodici mesi fa, la gioventù al potere era il sindaco di Firenze. Il quale proprio sull’anagrafe aveva puntato tutto il suo appeal. Alle primarie contro Bersani iniziava sempre così i suoi comizi: facendo vedere le immagini di venticinque anni prima, con il mondo ancora diviso dal Muro di Berlino, con Baggio e Maradona, con la Prima Repubblica. Renzi faceva vedere tutto questo e diceva «ricordate? Non c’erano ancora i telefonini eppure in Parlamento c’erano già Bersani D’Alema e Veltroni». Era perfino andato in tv da Maria De Filippi con il giubbetto di Fonzie. Insomma Renzi era il vento nuovo che batteva alla porta.
Ma siamo in un mondo che divora tutto rapidamente, e così è bastato un anno per pensare che Renzi potesse passare, nell’immaginario degli elettori Pd, dalla parte dell’establishment e il suo ex sodale diventato sfidante, Pippo Civati, in quella movimentista. Di fronte a un Renzi che sarebbe comunque diventato segretario, Civati ha cercato così di porsi come un’opzione per il futuro. Non per una questione di data di nascita: ci sono solo sette mesi di differenza, a favore di Pippo. Non era neppure questione di contenuti politici, perché in fondo la visione della sinistra di Civati è più tradizionalista di quella di Renzi. È questione di un’altra cosa, una cosa che ormai da molto tempo in politica è quasi tutto: l’immagine.
Il confronto su Sky aveva dato buone speranze a Civati, che era parso più efficace, più nuovo e più giovane appunto. Era sembrato il coronamento di tutta una campagna elettorale che aveva avuto, rispetto a quella di Renzi, l’immagine di un qualcosa di più povero e artigianale, e quindi di più spontaneo, immacolato. Soprattutto, Civati aveva dato l’impressione di essere più avanti proprio nel campo sul quale tanto aveva giocato il sindaco di Firenze: quello della rete. Il cammino dello sconosciuto Civati verso la notorietà era stato costellato di trovate come #civoti, come #civado, come il Civacalendar, come la geniale auto-intervista a un finto «Che tempo che fa». Il recupero («recuperlo», altra battuta efficace) è cominciato da lì, dalla rete, per poi continuare con i metodi classici: la campagna porta a porta, il passaparola, il Salamella Tour.
Certo in questa rincorsa Civati non ha avuto un grande appoggio dal partito. Anzi. Siccome nessuno è mai profeta in patria, nemmeno nella sua città gli hanno dato una mano: il sindaco di Monza Roberto Scanagatti, del Pd, ha comunicato pubblicamente la sua scelta per Cuperlo. Ma in fondo pure la solitudine rispetto all’apparato poteva trasformarsi in un vantaggio: «avete visto? Io non ho niente a che fare con il Palazzo». Di certo Civati è uno che sa rendersi simpatico: «Io voto per me», ha detto ieri mattina entrando nel comitato elettorale di via Lecco a Monza, «anche perché l’unica volta che non mi sono votato, alle elezioni del liceo, ho perso, quindi porta male». Ha scherzato sui rivali: «Cuperlo ha annunciato che non vota per sé, e allora gli ho detto “Ma dai, già arrivi terzo, almeno votati tu”». Su Renzi: «Nel segreto dell’urna, Matteo vota Civati». Poi è partito in treno per Roma, facendo tappa, per salutare i volontari nei seggi, a Bologna (dove, alla Bolognina, ha avuto un piccolo battibecco con un anziano elettore renziano, e anche questa è una notizia: che ci siano anziani elettori renziani a Bologna) e a Firenze. Sul treno da Firenze a Roma, esausto, ha dormito.
Con l’espressione un po’ tesa è arrivato a Roma, al suo comitato elettorale di via dei Frentani, dieci minuti prima della chiusura dei seggi. Quando sono arrivati i primi dati, è rimasto chiuso nella sala dello staff. La delusione dev’essere stata grande. Anche Renzi, un anno fa, aveva perso: ma era stata una battuta d’arresto che faceva presagire una rapida rivincita. Questa, per Civati, sembra una sconfitta più dura. Forse, una delle lezioni di questa storia è che non basta fare a gara a chi è più giovane.