Nadia Ferrigo, La Stampa 9/12/2013, 9 dicembre 2013
UNA SCINTILLA IN OGNI TASCA I 40 ANNI DELL’ACCENDINO BIC
Spesso, quando serve non si trova, anche perché passa con disinvoltura di mano in mano. Quando ormai ne abbiamo già comperato un altro, facile vederlo comparire all’improvviso, il più delle volte dalla tasca di un amico. Che cos’è? Compagno indispensabile di generazioni di fumatori, l’accendino Bic festeggia i suoi primi quarant’anni.
Con sei milioni di esemplari venduti ogni giorno in tutto il mondo, un numero incalcolabile di imitazioni e un posto d’onore nelle collezioni permanenti del MoMA di New York e del Centre Pompidou di Parigi, il primo accendino «usa e getta» della storia è ormai un’icona. Umberto Eco lo definì «il capolavoro del design moderno, nato volutamente brutto e diventato bello perché pratico, economico, indistruttibile e unico esempio di socialismo realizzato, capace di annullare ogni diritto di proprietà e di distinzione di stato».
Nel 1973 il barone Marcel Bich, imprenditore torinese (di origine valdostana, intorno ai trent’anni divenne francese), già a capo dell’impero della penna a sfera, decise di tentare una nuova strada, in piena armonia con una delle sue massime preferite: «Se un giorno mi diversificherò per impiegare i miei utili, farò come in natura: lascerò dei semi. Andrò altrove a creare di sana pianta delle nuove aziende».
Detto, fatto: nel 1971 acquisì la Flaminaire, una fabbrica di accendini francese, e dopo due anni di esperimenti lanciò un accendino a fiamma regolabile, resistente, economico e assicurato per tremila accensioni.
Fu un successo: per la seconda volta Bich riuscì a sedurre milioni di persone in tutto il mondo non grazie a una trovata rivoluzionaria, ma mettendo a punto una versione migliore e più economica di quel che già c’era. Il primo accendisigari moderno nacque in Germania agli inizi del 1800, quattro anni prima dell’invenzione del fiammifero. Un prototipo da tavolo elegante e raffinato, ma pericoloso e assai costoso: era caricato a idrogeno, un liquido esplosivo, e il meccanismo di accensione si attivava con una linguetta di platino. Le prime versioni tascabili iniziarono a comparire solo agli inizi del Novecento, quando si diffuse il vizio del fumo. Si trattava sempre di oggetti di lusso, ricaricabili e pensati per durare una vita: in pochi se li potevano permettere. Negli anni successivi, con l’invenzione del meccanismo a rotella che strofina contro la pietra focaia, iniziarono a diffondersi i primi modelli automatici e nel 1935 debuttò il primo accendino a gas butano.
Bich sbaragliò la concorrenza, riuscendo a vendere un prodotto affidabile, senza però essere esclusivo. Adatto a tutte le tasche, proprio come la penna a sfera. Inventata dall’ungherese Biró, ma battezzata dal barone, che riuscì a produrla abbattendo i costi: la Bic all’inizio vendeva le penne a ventinove centesimi, ma nel giro di un anno il prezzo scese a dieci.
Oggi Bic è la terza marca francese conosciuta nel mondo dopo Dior e Chanel, la prima negli Stati Uniti. Né la tecnologia né la forma dell’accendino più celebre del globo sono mai cambiate: l’unica concessione è per la grafica, sempre diversa grazie a nuove fantasie e collaborazioni prestigiose, l’ultima con lo stilista Elio Fiorucci. Bruno Bich, il figlio del barone Bich, conquistò la presidenza della multinazionale francese nel 1993, un anno prima della morte del fondatore.
Da subito tranquillizzò gli azionisti, assicurando che avrebbe sempre difeso i quattro principi che portarono al successo il padre: «Dare fiducia agli uomini, non avere debiti, avere posizioni mondiali, vendere al pubblico la migliore qualità al prezzo più basso possibile». Missione compiuta.