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 2013  dicembre 09 Lunedì calendario

LA RIVOLTA INFINITA DEL MONELLO COCTEAU


Letteratura come Vita Vissuta? O Vita Vissuta come Letteratura? Ma quale mai sarà la vera Realtà?... «Viviamo in un mondo molto crudele, e io non lo sono», dice Jean Cocteau, in un’ampia e bella intervista del 1962, condotta da William Fifield e ben tradotta da Raphaël Branchesi (Jean Cocteau secondo Jean Cocteau , Castelvecchi, pp. 126, e 16). Aggiunge: «È il plurale che vuole sopprimere il singolare», nonché «le maggioranze vogliono fare le minoranze di élite, senza modestia». E ancora: «La poesia è un esibizionismo di fronte ai ciechi».
Si rasenta così spesso il «signora mia, se sapesse che male», fra l’ideale del saggio stoico, il lirismo attonito della meschinità domestica tirata a quattro spilli dabbene, il bravo soldatino che si lamenta perché «non si sono ancora trovati dei mezzi per vendere l’eccezionale». E si capisce perché Paulette Goddard, perfettamente bilingue, rispondeva «così, si dicono solo l’essenziale», quando Cocteau e Chaplin si parlavano in francese e in inglese, senza capirsi, sui mari della Cina.
«Le Muse scappano, se si parla di loro». Lo ripeteva già negli anni Cinquanta, aggiungendo «questo è inedito», quando lo si andava a trovare nell’appartamentino al Palais Royal. Un ingressino, una cucinetta, una stanzina da letto, un cessino, tanti gatti e odor di gatti. Una bella pelle, rosea e liscia. «Un monello!» esclamavano gli ospiti, su uno sgabello o sul cesso, fra urli di «Cher Monsieur!» e «Cher Maître!». E lui, contentissimo: «Sì, sì, mi sono lasciato accogliere dall’Académie Française pensando che con me entrava un contrabbandiere di non-conformismo! La rivolta, sempre!». «Cammino sulla corda tesa, perché c’è una rete sotto!».
Urlava nel telefono: «Al telefono, io non parlo mai!». E la tuttofare, alle spalle: «Il mio signore non parla mai al telefono!». Poi: «Sempre ospiti! Sempre ospiti!», fra sportellini bianchi, piatti e zuccheriere, gatti fin sopra la testa, siamesi, nocciola, coda e orecchie marrone scuro. Al telefono c’è Genet, annunciato come ai varietà, e si lamenta moltissimo.
Gran finale. «Non scrivo più! Basta! Lo dico sempre a Picasso: lo scrivere è proprio un rinchiudersi dentro, un lavoro, un lavoro penoso! E poi, per chi? Per lettori che ignori, stranieri che ti conosceranno solo attraverso le traduzioni!».
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Ecco anche qui, alla Fondazione Roma, la mostra intitolata «Modigliani, Soutine e gli artisti maledetti». Ma quale maledettismo, nelle donnine linde e nitide e immacolate del livornese-parigino? «Uno, nessuno, o centomila» direbbe Pirandello. O forse «Ma non è una cosa seria»?... Certo, una volta messa a punto questa fortunata formula di gran successo per qualunque pubblico, la popolarità è garantita per sempre; e anche qui, nella sala delle immacolate ventenni, con le loro camicette integerrime, e i loro illibati collettini. Al contrario delle nude più o meno «ficone» che riempiono tante pareti attigue con le loro cosce e i loro triangolini piliferi.
Soutine, chi lo sa, con tante buie sofferenze non solo nei ritratti. Anche nelle nature morte. Piatti pronti desolati su tavole apparecchiate squallide: un insulto per chi non ha da mangiare?
Alla fine, benché non reclamizzato, trionfa Maurice Utrillo. Sembra una sua formula, quel modesto paesaggismo urbano e periferico. Ma quante variazioni di sguardi e vedute si possono apprezzare negli accostamenti di viuzze, stradette, vialetti di banlieue .
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Andare a Rovereto per Antonello da Messina? Pochi anni dopo la gran mostra riassuntiva alle Scuderie del Quirinale, e le indignazioni suscitate dall’eccessiva pulitura delSan Sebastiano di Dresda? Già Roberto Longhi, nel Bilancio di mostre nel dopoguerra , spiegava che «le opere superstiti di Antonello sono un esiguo manipolo». E «pochissime quelle guadagnabili per una mostra così lontana». E «tutte poi, sia per esser dipinte su tavola, sia perché spesso sottoposte in passato a speciali ingiurie climateriche e, persino, sismiche»… Ma gli Antonelli in mostra a Rovereto sono pochissimi. E quel San Sebastiano per fortuna non c’è.
Possono così scattare le memorie. Ai tempi terribili della Ddr, si studiarono bene gli orari. Si poteva allora entrare a Berlino Est con un pass che scadeva a mezzanotte. Quindi, dopo i vari controlli, anche su uno specchio per terra, s’andò subito a una stazione orientale e a un diretto per Dresda affollatissimo e carico di polli e galline in stie e gabbiette.
Si videro così piuttosto rapidamente i capolavori della Gemäldegalerie regolarmente acquistati e pagati, non già depredati da quegli Augusti fra Modena e Piacenza. Ecco dunque velocemente la Madonna Sistina coi suoi putti, questo Antonello, Veneri e Mantegna e Parmigianino e Correggio, Tiziano e Tintoretto, ovviamente Bellotto e la Cioccolataia di Liotard… Un’altra volta, in macchina, con gli orari numerati e contati, si perse tanto tempo coi controlli all’uscita di Varsavia (per Breslavia) che all’ora delle chiusure Dresda appariva lontana, su una strada di polvere.
Poi, con la riunificazione, tutto divenne più semplice. Alla Semperoper ricostruita filologicamente, si poteva assistere a un Fidelio presago, molto patriottico. E se alla stazione risultava abolito un treno di notte, ci si poteva permettere il lusso di un taxi per Berlino, dove l’autista non era mai stato. E chiedeva le informazioni, infatti.
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A proposito di Zurbarán a Ferrara, ove il precedente è al Grand Palais parigino un quarto di secolo fa, con ottimo catalogo, e a parte le canzonacce goliardiche con San Cirillo o Sant’Ilario, fra tanti Santi con occhi al cielo, e Annunciazioni, e Deposizioni, e Immacolate, e Assunte, bisognerebbe ricordare un Marchese del Baldacchino, che non c’è più. Era riuscito a trovare le mattonelle antiche al posto dei marmi mosaicati che erano di moda negli anni Trenta del Novecento, d’après Isabelle Colonna, Mimì Pecci, Ninni Pallavicini, eccetera. E sosteneva: sotto i piedi, occorre un pavimento umilissimo, per volgere il capo all’insù, e contemplare la gloria del Signore negli affreschi sul soffitto, senza badare al suolo.
Torna dunque in mente un’antica Enciclopedia Bompiani, dove sotto gli ornati e stucchi fioritissimi di una Certosa andalusa volutamente giacciono umili piastrelle.