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 2013  dicembre 09 Lunedì calendario

VIOLETTA, UN’OTTIMA CANTANTE CHE SCIVOLA SUL MI BEMOLLE


Voglio essere più esplicito di quanto non lo sia stato ieri con le cosiddette «prime impressioni». Ho detto che di questa Traviata, una delle peggiori che si siano avute a mia memoria, i gazzettieri e scribacchini si sarebbero occupati parlando quasi solo della regia, dovuta a un Dmitri Tcherniakov che dovrebbe andare a nascondersi: e così è stato: ma i limiti musicali sono ben più gravi che non siano le colpe dell’allestimento.
Allora, sarò più esplicito chiamando le cose col loro nome. Ho ricordato ciò che tutti sanno: Violetta si designa la signora delle camelie essendo usa a portarne una bianca appuntata in petto per tutto il mese tranne quattro giorni; nei quali ne porta una rossa, a segnalare al mondo il divieto d’accesso. Alla Scala Violetta ne porta una rossa in testa al primo atto, una rossa al secondo: ciò significa che la povera donna vive in istato di impedimento perpetuo. Per il resto, la regia fa svolgere l’Opera in un mondo sguaiato di nuovi ricchi quali esistono solo in Russia dopo l’avvento della Democrazia; e, tra le cose ridicole c’è questa: al primo atto tutto il monologo della protagonista avviene in presenza di un donnone, una sorta di Vanna Marchi coi capelli tinti carota: e sembra la prostituta che si confida alla maest’ ‘e casino , alla tenutaria di bordelli. Si tratta invece, ma lo comprenderemo solo al secondo atto, della cameriera Annina: che qui alla Scala hanno creduto di valorizzare in quanto ruolo facendolo impersonare, e lo fa malissimo, a una certa Mara Zampieri, un tempo soprano protagonista. Ma anche gli altri comprimarî fanno pietà: Antonio Corianò, Roberto Accurso, Andrea Porta, Nicola Pamio, Ernesto Petti, Ernesto Panariello. Non Andrea Mastroni, il medico, ottimo.
I difetti musicali della Traviata della Scala si vedono soprattutto da Daniele Gatti che domina il podio. Da lui ci attendevamo correttezza e non ce la dà come direttore (salvo che per correttezza s’intenda un suono, nel Preludio al primo atto, che pare quello d’un’orchestra con aggiunte sordine) né come concertatore. Infatti egli accetta inaccettabili arbitrî: la signora Damrau, la protagonista, al primo atto aggiunge risatine, pause, corone, puntature ; il tenore Piotr Beczala prima di Oh mio rimorso! Oh infamia! aggiunge un’efferata cadenza; il povero baritono Zeliko Lucic dopo il duetto con Violetta incomincia a calare; il coro, dopo È il mio destin così del primo atto, sembra composto da bambole meccaniche le quali oltretutto cantino troppo forte: gli va tutto bene. Ho già detto che il maestro Gatti adotta tempi inspiegabili: nella Cabaletta di Germont No, non udrai rimproveri il Lucic, che incongruamente alleggerisce la voce, pare cantare un’Aria dal Mikado di Gilbert e Sullivan, una delle più belle Operette della Storia. Il tenore singhiozza, bela e raglia e al direttore va benissimo.
La protagonista Diana Damrau è un ottimo soprano di coloratura; ma il Mi bemolle lo fa malissimo: lo attacca non intonato e lo aggiusta cammin facendo con una messa di voce e un crescendo: potremmo dire che il suo è un Mi bemolle acquirit eundo vires . La lettura della lettera farebbe ridere se non facesse piangere; la Signora ha anche un paio di amnesie, nel primo atto dice stampìti ho in core in luogo di stampati , al secondo dovrebbe dire Cessi al cortese invito e non lo fa. Aggiungo che ha fatto l’Ah forse è lui peggiore della Storia. Canta ottimamente l’Addio del passato ma quando arriva al Prendi, quest’è l’immagine , vorrebbe far bene ma il Gatti glielo impedisce.
Un pubblico eteroclito applaudiva a scena aperta a ogni singolo numero , anche addirittura all’interno di ciascuno di essi.