Andrea Tarquini, Affari&Finanza, la Repubblica 9/12/2013, 9 dicembre 2013
SIGMAR GABRIEL IL FIGLIO DI BAD GODESBERG CHE DÀ LA LINEA ECONOMICA ALLA GROSSE KOALITION
Berlino F acile essere eroi della sinistra democratica nel mondo libero in tempi di vittorie, quando hai il vento in poppa. Essere gli eroi della ritirata, i leader capaci di trasformare una disfatta in un successo, è ben altro: saperlo fare non è da tutti, eppure poi alla fine è così che un giorno forse resterai nella Memoria collettiva. Questa è la storia del compagno Sigmar Gabriel, presidente della Spd – Socialdemocrazia tedesca, il più antico e pur sempre ancora il più forte e serio partito progressista europeo – che in questo anno elettorale tedesco ha guidato il popolo di sinistra nel duello impossibile con Angela Merkel. Sapeva che avrebbe perso contro di lei, eppure ha saputo trasformarsi, da capo degli sconfitti, in uomo-chiave della grosse Koalition tra la donna più potente del mondo e gli eredi di Willy Brandt. E non solo: in piena, leale intesa con la partner ex avversaria, è riuscito a darsi il ruolo di principale architetto della politica e strategia economica, finanziaria, fiscale, di bilancio e sociale che ispirerà la maggioranza delle “larghe intese” di Berlino da questo fine anno fino all’autunno 2017, scusate se è poco.
“Io mi fido della dottoressa Merkel, siamo i leader dei due grandi blocchi, ma la trovo simpatica”, usa dire in questi giorni. Quando presenta insieme ad Angie il Koalitionsvertrag, cioè il programma di governo della nuova maggioranza, o quando parla con i militanti percorrendo da un capo all’altro la Bundesrepublik. Già, perché poi ha avuto anche l’audacia di applicare a modo suo il nuovo trend di sinistra delle primarie: dal 12 al 16 dicembre saranno i militanti Spd in un voto interno a dire in modo vincolante sì o no alla grosse Koalition. Un sì appare scontato, ma come in ogni scelta democratica i rischi possono sempre essere dietro l’angolo, con massimalisti dell’autorità di Guenter Grass che lanciano agli iscritti appelli a votare contro le larghe intese.
Ha imparato presto a tentare, perdere e rilanciarsi, il corpulento ma energico, instancabile Sigmar Gabriel, classe 1959, nato nella piccola prospera Goslar il 12 luglio di quell’anno, lo stesso in cui con lo storico congresso di Bad Godesberg la Spd abiurò il marxismo-leninismo e il dogma della lotta di classe e abbracciò i valori costitutivi del riformismo nella democrazia. Fu governatore nella Bassa Sassonia, e là era difficile essere l’erede del carismatico Gerhard Schroeder, poi (ricordiamolo) cancelliere delle grandi riforme 1998-2005, ora, peccato, lobbyista della Gazprom di Putin in Europa. Perse le elezioni, divenne ministro dell’ambiente. Gli ultimi anni di stabilità convulsa della prima potenza europea lo hanno sballottato da un ruolo all’altro, lui è sempre rimasto in piedi. Sa come sedurre l’anima massimalista della base, ma è un migliorista nel cuore: vuole rifare del partito di August Bebel, di Willy Brandt, di Helmut Schmidt una forza centrale del rinnovamento. Ha abilmente affrontato la campagna elettorale perduta in partenza contro Merkel lasciando la candidatura di sfidante a un altro cavallo di razza Spd, quel Peer Steinbruck che ex ministro delle Finanze della precedente grosse Koalition salvò la Germania dalla crisi internazionale 2008-2009. Ma sapeva, il buon Sigmar, che l’arcigno Peer sa far quadrare i conti pubblici ma non convincere le folle.
E allora poi è toccata a lui, lui che finora era stimato soprattutto all’estero, da Miliband e Hollande, da Letta, da Obama o dalle sinistre scandinave. Ed ecco che il compagno Sigmar, paffuto ma mai stanco, ha sfoderato nella trattativa con Angie tutto il suo know-how di politico di razza. “Noi abbiamo perso le elezioni eppure siamo insostituibili per voi, e nel nuovo governo non vogliamo essere soltanto quello che in un’azienda è il consiglio di fabbrica, vogliamo sedere ai piani alti a pari dignità”. Affinità elettive finora poco evidenti si sono incontrate al tavolo negoziale, mentre il terzo protagonista (Horst Seehofer, sanguigno, duro e tecnoconservatore capo della Csu bavarese e governatore del Freistaat Bayern, il più ricco e avanzato del sedici Stati della Bundesrepublik) spesso mugugnava o puntava i piedi. Le affinità elettive – o convergenze parallele, avrebbero detto Moro e Berlinguer – hanno avvicinato il socialdemocratico modernista Sigmar Gabriel alla cancelliera che passo dopo passo, in questi anni all’apoteosi del suo potere, ha spostato a sinistra la sua Cdu su ogni tema, dall’addio al nucleare al no allo spionaggio usa, dal welfare ancor più generoso per ragazze madri e migranti fino alle nozze gay, fino alla preferenza implicita e non incondizionata ma chiara per Mario Draghi rispetto al falco della Bundesbank Jens Weidmann.
Alla fine, è stato fin troppo facile per i massimi media tedeschi sottolineare – chi compiaciuto, chi deluso a seconda dell’orientamento – che molti punti-chiave del programma di politica economica e sociale della grosse Koalition nascente sono socialdemocratici, e più precisamente frutto delle idee del compagno Sigmar. Vediamoli: prima di tutto il salario minimo di 8,50 euro orari, dal 2015, la fine annunciata delle ingiustizie e delle disparità tra lavoratori garantiti dalla IgMetall o da altri dei sindacati più forti del mondo, e precari o assunti o in leasing. Un salario minimo, Gabriel ne è sicuro, che rafforzerà il mercato e la domanda interne tedesche a vantaggio di tutta Europa ma non scalfirà di un millimetro la competitività del Modell Deutschland. Secondo, pensione a 63 anni se ne hai 45 di contributi. Terzo, pensioni per le mamme sole, e per gli anziani sfavoriti. Quarto, impegno del governo a lottare contro chi impone ai lavoratori i precariati peggiori, i minijobs da 400 euro al mese, i contratti a termine senza protezione sindacale e garanzie. Quinto ma non ultimo, più impegno per la crescita in Germania e in Europa: da 23 a 30 miliardi di spesa pubblica in più nel quadriennio di legislatura per crescita, occupazione, istruzione, ricerca scientifica ed eccellenze. Un sostanziale allentamento del rigore stile Bundesbank, che qui fa mugugnare i falchi e che da Parigi a Roma, da Madrid ad Atene, aiuta i governi a negoziare un rigore sempre durissimo ma più flessibile.
Certo, il prezzo pagato dal compagno Sigmar in cambio di queste aperture sociali, pro-crescita e anti- rigore è stato altissimo: la Spd si associa al no della CduCsu agli eurobonds. Speranze troppo ottimiste di parte del resto dell’eurozona sono andate deluse. Facile criticarlo da fuori, però: a parte che nel programma di governo lui ha fatto scrivere nero su bianco il dovere d’un maggiore impegno tedesco per la ripresa degli altri nell’area della moneta unica, sapete quale sarebbe stata l’alternativa più probabile a questo compromesso? Nuove elezioni, con la CduCsu alla maggioranza assoluta, e magari gli antieuro populisti di Alternative fuer Deutschland nel Bundestag.
Via, siamo comprensivi col compagno Sigmar. Forse tra quattro anni ci accorgeremo di dovergli gratitudine. Già adesso, depone a suo favore anche il tratto umano, le scelte private. Sposato in seconde nozze con la giovane, bella dentista Anke Stadler, da quando è di nuovo padre ha sempre preso periodi di congedo-paternità per stare lui a casa e lei al lavoro. “La dentista Anke, il mio amore, non può avere meno diritti al tempo per il lavoro rispetto al politico che la ama, pannolini biberon e notti insonni toccano anche a me”, ha spiegato più volte. Chi sa, magari anche una visione moderna dell’amore aiuta a trasformarsi da capo degli sconfitti in vero uomo-chiave della nuova maggioranza. Di quanti altri leader della sinistra europea si può dire oggi lo stesso? Coraggio, compagno Sigmar, e concedi alla tua Anke serate romantiche, te le meriti. Qualcuno, come l’insospettabile Thomas Schmid, direttore di Die Welt, già ti paragona a Willy Brandt giovane.