Federico Rampini, Affari&Finanza, la Repubblica 9/12/2013, 9 dicembre 2013
LA VOLCKER RULE VALIDA ANCHE PER LE BANCHE EUROPEE
Ci siamo, questo 10 dicembre dovrebbe essere la data fatidica. A cinque anni dalla crisi sistemica di Wall Street, solo ora entrerà davvero in vigore la “Volcker Rule”, la nuova regola che prende il nome dal suo ispiratore Paul Volcker, ex presidente della Federal Reserve. C’è voluto tanto perché la lobby dei banchieri ha fatto un ostruzionismo a tutti i livelli, mobilitando i suoi “amici” al Congresso per ritardare questo evento. E’ scomparsa la versione più radicale della regola Volcker, quella che ci avrebbe riportati alla situazione antecedente agli anni Novanta, quando cioè esisteva una invalicabile muraglia cinese tra i mestieri delle banche di deposito e quelli delle banche d’investimento. Lo smembramento d’autorità dei colossi, non avverrà. Quella che entrerà in vigore è la versione meno drastica della regola Volcker, che si limita a mettere dei limiti agli investimenti rischiosi che le banche possono fare con mezzi propri. E tuttavia anche questa sarà una piccola rivoluzione. Che riguarda il mondo intero, non solo l’America. A scoppio ritardato, molte banche europee se ne sono accorte: la campana suona anche per loro. Come ha detto un avvocato d’affari che fa il consulente per grandi banche europee, “basterà una telefonata negli Stati Uniti, per finire sotto la loro giurisdizione”. Una battuta? Mica tanto. La regola Volcker proibisce agli istituti di credito di investire capitali propri in attività di trading di natura speculativa. Questa definizione è ampia, include i derivati ma anche hedge fund, private equity e altre strutture d’investimento a rischio. Le banche potranno continuare a eseguire ordini di acquisto e vendita per conto dei clienti, perché in quel caso il rischio è interamente a carico del cliente. Potranno anche effettuare alcuni investimenti speculativi – derivati – a copertura del rischio, ma dovranno dimostrare che si limitino davvero a quello scopo. Ovviamente la regola Volcker si applica a qualsiasi banca straniera che operi anche sui mercati Usa. Di conseguenza ne subiscono l’impatto tutti i big transnazionali inglesi o svizzeri o tedeschi, del calibro di Barclays, Ubs, Credit Suisse, Deutsche Bank. Fin qui nessuna sorpresa. Ma in realtà non c’è bisogno di chiamarsi Deutsche Bank e neppure di operare a Wall Street, per cadere sotto l’occhiuta giurisdizione delle authority americane. La regola Volcker può scattare, ad esempio, se una banca europea o asiatica ha rapporti d’affari con una società europea o asiatica, controllata da un fondo di private equity americano. Gli esempi sono innumerevoli anche in Italia, per esempio nel settore del lusso. Basta questo, perché si applichi alla banca italiana ogni limitazione prevista dalla regola Volcker. Di fatto, un’interpretazione così estensiva fa sì che le nuove normative americane diventano quasi automaticamente di rilevanza globale. Michel Barnier, commissario europeo, ha protestato per questo “sconfinamento” di giurisdizione, già avvenuto con le nuove norme Usa sui derivati, e ha provato ad argomentare che le regola americane dovrebbero applicarsi solo quando le attività di trading si svolgono effettivamente negli Stati Uniti. Ma la finanza è talmente globale, che il concetto stesso di territorialità è molto labile. Poi naturalmente accade anche che gli Stati Uniti ne approfittino per fare un po’ di concorrenza sleale. Esempio: la regola Volcker non si applica alle operazioni sul titolo del Tesoro Usa; ma i titoli pubblici emessi da altri debitori sovrani non godono dello stesso trattamento favorevole. Questa è una discriminazione sulla quale forse Barnier riuscirà a spuntare delle concessioni.