Sergio Rizzo, Corriere Economia 9/12/2013, 9 dicembre 2013
SE MUORE LA PROVINCIA SPENDACCIONA RINASCE IL PAESELLO METROPOLITANO?
Se una cosa è certa, l’uscita di Forza Italia dalla maggioranza renderà impossibile la cancellazione dalla Costituzione della parola «Province». Dunque al governo non resta che sperare nella buona sorte del disegno di legge del ministro degli Affari regionali Graziano Delrio con il quale si mira a svuotare di funzioni le Province e rendere finalmente operative le città metropolitane. Il provvedimento comincia oggi alla Camera un altro percorso di guerra, dopo quello affrontato in Commissione. Tanto che il governo non ha escluso di ricorrere prima o poi al voto di fiducia. Mentre il fronte opposto è sempre più forte e coeso. Incoraggiato sia dalla scissione del Pdl, che ha ingrossato le sue fila con Forza Italia decisa a votare contro, sia dalla sentenza della Consulta sulla legge elettorale che ha sconvolto l’agenda politica.
Nel frattempo si verificano episodi come quello della Provincia di Roma, commissariata da un anno, che avverte il bisogno di assumere a tempo determinato un nuovo dirigente (oltre ai 50 che già ci sono) con 130 mila euro di stipendio per coadiuvare la struttura commissariale. Ovvero il commissario prefettizio più quattro-subcommissari-quattro.
In attesa di vedere se Delrio avrà la forza (e il tempo) per vincere la battaglia, l’Istituto Bruno Leoni ha rifatto i conti dei risparmi possibili derivanti dalla cancellazione delle Province: arrivando alla conclusione che il beneficio potrebbe essere ben più consistente delle stime fatte finora. Ossia, un miliardo e 894 milioni l’anno. Cento milioni dai costi della politica, 61 dalla spese di amministrazione, un miliardo e 38 milioni grazie alle economie di scala e 695 milioni con le esternalizzazioni di alcune funzioni, quali i centri per l’impiego inefficienti e costosi. Di più. A dimostrazione dell’esigenza di eliminare quanto prima le Province, l’Istituto Leoni sottolinea che i tagli cui gli enti sono stati sottoposti in questi anni hanno avuto l’effetto di preservare la spesa corrente, ridottasi appena del 5%, dimezzando invece gli investimenti. «Ciò significa», scrive il curatore dello studio Andrea Giuricin, «che le infrastrutture gestite dalle Province, quali le scuole o le strade, hanno visto un blocco totale. Quando si parla del dissesto idrogeologico e di mancanza di fondi occorre avere ben presente che ciò dipende da una precisa scelta politica: impiegare le risorse disponibili per il funzionamento della macchina a scapito dell’esercizio delle funzioni attribuite alle Province».
Ma il medesimo studio mette in guardia circa il rischio che la nascita delle città metropolitane (complessivamente 15, ma potrebbero salire a 18) si possa rivelare un’arma a doppio taglio. Il fatto è che le stesse sono state individuate da Parlamento e Regioni a statuto speciale, non sempre sulla base di criteri di efficienza, bensì per calcoli politici.
Giuricin fa l’esempio di Reggio Calabria, promossa città metropolitana con una legge delega del 2009 sebbene la Provincia reggina sia soltanto trentunesima per popolazione, con un numero di residenti (566 mila) inferiore a quello dei cittadini della Provincia di Cuneo (592 mila) e un territorio pari ad appena il 46% del cuneese. Per non parlare di Trieste, che ha meno di 250 mila abitanti e appena sei Comuni su circa 200 chilometri quadrati.
Il massimo però è in Sicilia. Dove la Regione autonoma ha deciso di eleggere ben tre città metropolitane: il 20% del totale nazionale. Giuricin ricorda che, pur essendo Catania e Palermo due grandi centri urbani, in Lombardia ci sono Province, con più residenti sia dell’una che dell’altra. E che Messina è «diventata città metropolitana nonostante abbia meno abitanti e un’estensione territoriale inferiore alla Provincia di Perugia».