Sergio Romano, Corriere della Sera 9/12/2013, 9 dicembre 2013
QUANDO NON È FACILE CONCILIARE POLITICA E MORALE
Non mi sono piaciute le sue due recenti riposte a lettori che trattavano la faccenda di Berlusconi espulso dal Senato. Premetto che il personaggio, da sempre, cioè da quando era un palazzinaro ed io un ragazzo, non mi è mai piaciuto, e sempre più nel tempo con la sua entrata in politica, esempio eclatante di arrogante potenza e di sfacciata ricchezza. Nella prima lettera lei parla di galateo politico. Nella seconda lettera della signora Mangini di Genova, che sottoscrivo pienamente per quanto riguarda il personaggio Berlusconi con i suoi atteggiamenti, le goliardate e io aggiungo soprattutto con l’arroganza sua e della «cricca» di politici che lo sostiene, lei dice che il Pd conosceva da principio le esuberanze del medesimo prima di accordarsi con il Pdl. Ripeto: Berlusconi, e tutto ciò che rappresenta, mi è estremamente irritante: ciò mi rende forse molto prevenuto. Comunque finalmente l’hanno cacciato (anche se temo che lui indirettamente e la sua «cricca» continueranno a condizionarci la vita). Penso, inoltre, che tale sorte dovrebbe essere riservata a molti altri politici di qualunque parte. In definitiva ho ritenuto i suoi interventi troppo concilianti con il personaggio noto anche come «il magliaro di Arcore».
Tiziano Brambilla
tizi.cinzia@alice.it
Caro Brambilla,
La sua lettera non mi ha sorpreso. Nel corso della sua vita pubblica Berlusconi ha suscitato contemporaneamente grande devozione e grandi ostilità: due sentimenti che hanno malauguratamente rafforzato la tendenza degli italiani a dividersi in campi nemici. A me sarebbe piaciuto invece che i critici di Berlusconi in Parlamento, in occasione del voto, s’interrogassero sugli effetti politici della loro scelta per il futuro del governo Letta. Sarebbe sopravvissuto alla estromissione di Berlusconi dal Senato? Avrebbe avuto maggiori o minori possibilità di realizzare un programma che tranquillizzi i mercati e permetta all’Italia di non essere più, come in questi ultimi anni, il vigilato speciale della Commissione di Bruxelles, del Fondo monetario internazionale e delle Agenzie di rating?
Le ricordo, caro Brambilla, che vi fu almeno un’altra occasione, dopo la costituzione della Repubblica, in cui venne fatta una scelta che a molti italiani dovette sembrare moralmente e politicamente intollerabile. Accadde quando Giulio Andreotti, nel luglio 1976, formò un governo di solidarietà nazionale con la «non sfiducia» del Partito comunista italiano. Da quel momento il Pci, pur senza partecipare alla distribuzione dei ministeri, divenne il partner necessario della Democrazia cristiana per tutto ciò che atteneva all’ordine pubblico, alla lotta contro il terrorismo e persino alla ripartizione delle spese fra i maggiori capitoli del bilancio. Le ricordo ancora che il Pci, nonostante qualche interessante manifestazione d’indipendenza, era ancora infeudato all’Unione Sovietica, veniva finanziato ogni anno dal partito «fratello» dell’Urss e addirittura accettava una consegna di ricetrasmittenti del Kgb per il giorno in cui avrebbe dovuto scegliere la clandestinità.
Tutto questo accadde perché Aldo Moro e altri esponenti della Dc erano convinti che il Pci fosse necessario alla lotta contro il terrorismo e a una migliore organizzazione della vita politica nazionale. In linea di principio, se il criterio della legalità avesse prevalso su quello delle esigenze politiche, non sarebbe stato impossibile incriminare alcuni esponenti del Pci per alto tradimento. Ma la creazione di un fronte nazionale contro la minaccia eversiva dei gruppi rivoluzionari fece premio su qualsiasi altra considerazione. Giudichi lei, caro Brambilla, se i festini di Arcore siano moralmente più gravi del denaro che il Pci riceveva ogni anno da uno Stato potenzialmente nemico.