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 2013  dicembre 09 Lunedì calendario

SCUOLA, BENZINAI, SUPERMARKET: VA IN SCENA LA PSICOSI COLLETTIVA

Gli sguardi angosciati sul frigo semivuoto e il sollievo per il pieno di benzina. Il tormento per le scuole chiuse e il terrore delle barricate dei tassisti.
In Calabria si sono messi in fila ai supermercati, in Sicilia hanno inscenato pellegrinaggi (taniche alla mano) alle pompe di benzina, a Roma i pizzicagnoli hanno dovuto tirare su le saracinesche di domenica per anticipare gli approvvigionamenti di frutta e verdura. Nelle metropoli mobilitazione generale di nonne e baby sitter, capiufficio preallertati, mentre si studiano percorsi alternativi per ovviare al blocco del centro da parte dei tassisti che però smentiscono intenzioni barricadere. A Torino, dove già nei giorni scorsi si erano registrati picchetti davanti ai centri commerciali, ieri si è diffusa la voce di un’ordinanza di chiusura delle scuole, costringendo il Comune a diramare un comunicato ufficiale per smentire «le false informazioni», poi esteso a tutta la Provincia: «Lezioni regolari». Non così a Ottaviano, in Campania, dove si sono spaventati quando due gruppi di «forconi vesuviani» hanno invitato la popolazione a «fare scorte di cibo e generi di prima necessità».
Come ai tempi delle guerre, di Cernobil, del Capodanno del 2000, delle profezie dei Maya, delle buste all’antrace, delle invasioni di Ufo. Invece sono solo i Forconi, ma tanto basta a precipitare l’Italia «sciapa e smarrita» radiografata dal Censis in una domenica ad alto tasso psicotico. Per una volta il Paese del giorno dopo (le morti annunciate, i disastri evitabili, le stragi a orologeria, gli allarmi inascoltati, le adunate sul carro del vincitore) è diventato il Paese del giorno prima. Prima di che cosa, nessuno l’ha ben capito. Ma prima, comunque, di qualcosa che ha generato l’esplosione di un desiderio represso di rottura, di soluzione di continuità.
Allarme nei mercati rionali. Incubo di non trovare mezzi pubblici e strade libere. Accorate telefonate sull’importanza di avere sempre in casa una busta di latte a lunga conservazione. Evocazioni di «derive greche», «governi transitori», «giunte militari». Il Codacons - poteva mancare? - annuncia denunce penali e il Garante paventa sanzioni, mentre Merino Nerella Editore sforna opportunamente al modico prezzo di un euro l’e-book «Alle radici della protesta dei Forconi» del giornalista Aldo Mantineo.
Capitolo infiltrazioni, altro classico melodrammatico nazionale: se ne temono di tutti i tipi, dalla mafia ai neofascisti, dagli anarchici agli ultras del calcio, compresi i finora non pervenuti «berretti rossi bretoni». Alla fine sarebbe più facile catalogare quelli rimasti a casa. Il Viminale annuncia l’uso degli idranti e i giovani del Pd invitano alla vigilanza - democratica, s’intende. Eppure lo slogan della manifestazione, sui manifesti appesi nelle vetrine dei negozi chic, è una frase del partigiano Sandro Pertini. L’inno, viceversa, è «Er paese dei balocchi» di Miguel Cris, rapper arrabbiato ma soprattutto palestrato, già spogliarellista dei Centocelle Nightmare.
Grande confusione, non c’è dubbio, dunque situazione eccellente. Saltati tutti i paradigmi analitici. I centri sociali manifestano con Forza Nuova e Casa Pound. Gli studenti benicomunisti con gli imprenditori veneti iperliberisti. Gli agricoltori new age con gli allevatori old style delle quote latte. In quella che in altre ere geologico-politiche si sarebbe definita la piattaforma della manifestazione, campeggiano «la difesa dell’identità nazionale» (feticcio di destra) e «il rispetto della Costituzione» (mantra di sinistra). Nei volantini risuonano refrain berlusconiani (l’Italia che produce), leghisti (no euro e globalizzazione), renziani (ci hanno rubato il futuro) e grillini (tutti a casa!).
Contraddizioni? No, semplicemente la dicotomia destra-sinistra impolvera le cattedre dei politologi ma nella carne viva del dramma sociale viene travolta da quella alto-basso. È una reazione alla fuga verticale del potere, una ribellione radicale contro l’evaporazione della sovranità: la globalizzazione, l’Ue, la Bce, le banche, le istituzioni, i partiti, «il governo di nominati». E anche i sindacati e i corpi intermedi, che scontano un’analoga e non meno profonda delegittimazione. Non a caso, le sigle «ufficiali» delle categorie si dissociano, ma non controllano più la situazione.
Poi magari non succede niente, all’italiana. Ma quando il dito indica la luna, la cosa più stupida è guardare il frigo vuoto.