Luca Fornovo, La Stampa 8/12/2013, 8 dicembre 2013
FRA ITALIA E CINA LA SFIDA CORRE SUL FILO DI LANA
«Dodici dollari e 90 al signore in fondo, tredici qui all’angolo, il signore che alza la mano dice tredici dollari e 15 centesimi, aggiudicato!». Nella sala 1 dell’Australian Wool network si alza il vocione di Mark Hedley che prende il sopravvento sui compratori. Ha appena fissato l’ultimo prezzo di un lotto di lana merino, la più pregiata qui in Australia, dove viene venduta greggia e il valore è al chilogrammo.
A Yennora, 30 chilometri dalla baia mozzafiato di Sydney, l’Australian Wool network (Awn), è una piccola Wall Street della lana, un’altra simile si trova a Melbourne. Con 72,4 milioni di pecore (e solo 23 milioni di abitanti), l’Australia è il primo produttore al mondo di lana: 350 milioni di chili per un valore di 2,7 miliardi di dollari l’anno. L’Awn è ancora una Borsa alle grida come nel 1813, quando a Sydney si tenne la prima asta delle lane.
«Sentite questo odore di vaniglia? È la lanolina» spiega Andrew Blanch della New England Wool, azienda che compra alle aste, davanti al salone d’ingresso dell’Awn. Qui ci sono centinaia di scatoloni dove la lana viene classificata in base alla provenienza degli allevatori (New England, Gaulburn, Bathurst, Brisbane, Newcastle, ecc).
Daryl Croake, 11 mila ettari di terreno, sesta generazione di una famiglia che alleva pecore dall’800, sta per entrare nell’olimpo dei produttori. Una piccola quantità della sua lana ha appena ottenuto la certificazione 1Pp. «È la Ferrari della lana merino - spiega Croake - la qualità più alta che potrà essere venduta a 25 e 30 dollari al kg, quasi il doppio della media».
A contendersela saranno probabilmente Cina, Europa, con l’Italia in testa, e Giappone. Un business colossale per le aziende tessili di questi Paesi, basti pensare che i consumatori occidentali spendono circa 75 miliardi di dollari l’anno per la lana. La Cina, che è anche tra i principali produttori, è il più grande acquirente con aziende come la Novatex, Nanshan e Ningbo, «visto che assorbe circa il 60-70% della lana merino australiana», spiega Stuart McCullough, ad di Woolmark. Ma anche l’Italia compra soprattutto dall’Australia (44%), e il 26% dalla Nuova Zelanda, il resto Sudafrica (7,7%), Spagna (5,2%) e Germania (2,8%).
I re dei tessuti made in Italy che acquistano in Australia e Nuova Zelanda sono le grandi famiglie biellesi come Zegna, Reda, Vitale Barberis Canonico. Un business che è nel sangue dei piemontesi: già Camillo Cavour, nel 1836, fece un viaggio d’affari per comprare pecore merino che poi suo padre, il marchese Michele, avrebbe rivenduto al pascià d’Egitto Mehemet Alì.
Reda (70 milioni di fatturato) ha appena siglato, attraverso la mediazione del consorzio Woolmark, un contratto da 750 mila euro per comprare 7,5 tonnellate di lana 1Pp. «Per sbaragliare la concorrenza – spiega Ercole Botto Poala, ad di Reda - abbiamo fatto un’offerta più allettante a livello economico e stimolante per gli allevatori. E per festeggiare nel 2015 i 150 anni della Reda produrremo il tessuto super centocinquanta e lo venderemo ai nostri clienti più esclusivi». Tessuti che griffe come Armani, Ralph Lauren o Hugo Boss trasformeranno in eleganti abiti da uomo.
A un’ora d’aereo da Sydney, a Uralla, un paesino di 2300 abitanti nel cuore del New England la stagione della tosatura è entrata nel vivo. Una natura selvaggia, fatta di pascoli sconfinati, cielo blu e zero inquinamento sovrasta centinaia di fattorie.
Dice Gregg, uno degli otto tosatori della fattoria Kentuky Station: «il lavoro è duro, ognuno di noi tosa 200 pecore al giorno, ma si guadagna bene: 120-150 mila dollari l’anno». Dopo la tosatura entrano in scena gli scartatori: smistano arrotolano le strisce e sottopongono il vello all’esame del classer, l’esperto classificatore. La lana più pregiata è bianca, morbida, sottile con un diametro intorno ai 15 micron (un millesimo di millimetro) soprattutto resistente (40-50 Newton). Dal vello di una pecora si possono fare tre abiti da uomo. Per confezionare un abito occorrono tre metri e mezzo di tessuto, che all’ingrosso vengono venduti a 30-40 euro.
La Kentucky Station è di proprietà di Annie Hutchison, 70 anni, che alleva quasi 13 mila pecore. A dirigere le fattorie ci sono coppie ma spesso i farmer sono donne come Annie, semplici nei modi e abituate ad affrontare una lunga giornata di fatica: danno vitto e alloggio ai lavoranti, si occupano della gestione dei terreni e del bestiame accolgono i turisti. Una tradizione che forse è ancora più radicata in Nuova Zelanda: il primo Paese al mondo a dare il voto alle donne nel 1893. Ad Aotearoa, la terra della lunga nuvola bianca (questo il nome maori della Nuova Zelanda), Ann Scanlan, una signora minuta dal carattere tosto, ha curato per anni la fattoria Otamatapaio, comprata 20 anni fa dal gruppo Reda, che domina il lago Benmore, nell’isola del Sud. «Per ottenere la lana migliore - spiega Ann – le greggi devono essere allevate al meglio tenendo conto di cibo, clima, latitudine e selezione genetica. Qui le pecore sono un’istituzione, quando capita d’inverno che si perdano sui monti innevati, le andiamo a cercare con l’elicottero».