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 2013  dicembre 08 Domenica calendario

LA SCALATA LAMPO DI SALVINI L’ULTRÀ LEGHISTA FEDELE A BOBO


«Arriverà prima la Padania libera della mia laurea» promise anni fa, da studente fuori corso (da 16 anni...) in Storia alla Statale di Milano.
L’indipendenza della Padania non è arrivata, ma neppure la sua laurea, quindi la promessa è ancora valida. In compenso l’ex «comunista padano» Matteo Salvini, eterno ragazzo e ultrà leghista, ha scalato il Carroccio prendendo il posto, addirittura, del suo mito giovanile, l’Umberto, il Bossi. Da consigliere comunale perennemente in onda sulle tv locali, a segretario nazionale della Lega nord, fino a segretario federale. Una lunga gavetta (prima tessera della Lega nel 1990), militanza sfegatata, paragonabile soltanto, per dedizione, alla sua altra passione, il Milan. Ma è nell’ultimo anno che Salvini ha fatto il salto di carriera. Trampolino di lancio, la sua fedeltà a Maroni anche nei momenti bui, quando ancora comandava Bossi e non conveniva mettersi contro il Senatùr. Salvini ha rischiato, prendendosi parecchi schiaffoni da Bossi («lui vicesindaco di Milano? Non penso proprio» lo fulminò il Capo prima delle comunali 2011), ma alla fine ha raccolto i frutti delle sue imprudenze. Come quando, in pieno scandalo «Bossi family» (e Umberto ancora regnante), disse che, fosse capitato a lui un figlio come Riccardo Bossi, lo avrebbe preso a ceffoni. O come quando ammise che la candidatura del «Trota» Renzo, l’altro pupillo (oggetto di lecchinaggi feroci da vari arrivisti della Lega), fu un errore. Oppure quando invitò Rosy Mauro, fedelissima di Bossi, a dimettersi, o a essere «gentilmente accompagnata fuori» dal Carroccio. Posizioni che gli sono valse l’odio dell’ex «cerchio magico» di Bossi, e l’anatema personale della moglie del Capo, molto influente prima della rovina, ma anche il supporto della base che chiedeva un cambiamento ai vertici (oltreché l’appoggio di Maroni, che di fatto gli ha offerto la seggiola di segretario federale). Anche se poi, il giorno in cui Bossi, travolto dall’inchiesta sull’uso dei soldi pubblici, comunicò al consiglio federale le sue dimissioni irrevocabili, Salvini scoppiò a piangere come un vitello davanti alla catastrofe del suo antico mito («io prima che leghista sono bossiano, per Umberto nutro un’autentica venerazione», disse una volta).

Lo avrebbero comunque fatto fuori volentieri, se non fosse che «Teo» prende un sacco di voti. Quattordicimila preferenze alle Europee del 2004 (eletto a Strasburgo prende come portaborse il fratello di Bossi), 3mila preferenze come consigliere al Comune di Milano nel 2006, 70mila alle successive Europee (2009), tuttora europarlamentare a Strasburgo. Exploit elettorali frutto di un’applicazione ininterrotta alla causa. Salvini può trovarsi contemporaneamente su tre canali televisivi e due radio, e nel frattempo chattare coi suoi fan su Facebook o Twitter, il tutto in una fascia oraria di attività compresa tra l’alba e l’una di notte. Di sé, in effetti, dice: «Cerca di lavorare anche 16 ore al giorno nonostante i mugugni di compagna e figli». Come lavoro vero e proprio, a 18 anni, ha consegnato pizze a domicilio, poi commesso al fast food «Burghy» in Galleria a Milano, «insieme ad altri lavoretti per pagarsi gli studi e le vacanze». Quindi, da 20 anni in poi, quando entra per la prima volta in Consiglio comunale a Milano, l’unico lavoro, full time, è stato la politica. Finora da pasionario padano e ultrà stile fossa dei leoni (i cori a Pontida contro i napoletani, le t-shirt «Padania is not Italy», le carrozze del metrò da riservare ai milanesi...), non da leader di partito, ruolo che necessita di tattica, diplomazia, sangue freddo, capacità di mediazione... Non esattamente le prime doti che vengono in mente pensando a Salvini. Ma forse è proprio quello che voleva Maroni. Un segretario di «pancia» per la Lega. Da affiancare ad un movimento civico nordista più di testa, che parli alla borghesia del nord, agli imprenditori, ai salotti milanesi. Quelli che Salvini, fan di Vasco ed ex Leoncavallino, proprio non sopporta...