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 2013  dicembre 08 Domenica calendario

RAI VERSO LA MEDIA COMPANY DIGITALE


Diventare una media company entro il 2016. Anno in cui scadrà la concessione all’azienda Rai per il servizio pubblico nazionale. La trasformazione in atto, però, è imposta più dalle trasformazioni della distribuzione e del consumo degli audiovisivi e dei programmi che da una scadenza istituzionale, pur vitale per le future sorti della stessa Rai.
Vi sono alcune parole chiave per capire le politiche e le strategie messe in atto dal vertice, in testa il direttore generale Luigi Gubitosi, con l’obiettivo di lasciarsi alla spalle la vecchia Rai, broadcaster organizzato su reti verticali, che mette in onda palinsesti tv e radiofonici nella modalità punto-multipunto. Obiettivo: diventare una media company che opera su tutte le piattaforme e vuole-deve imparare a soddisfare e interloquire con ogni singolo utente. Il programma non si chiude con la prima messa in onda ma si riscrive, si riproduce, si rivede, si trasforma insieme al suo pubblico. In più, la parola d’ordine è quella della promozione incrociata dei canali e dei programmi, fino a pochi anni fa inesistente.
La Rai si trova a combattere per conquistare tempo e attenzione di ogni consumatore, in concorrenza anche con i colossi del web, in primis Google-You Tube. Lo scenario è caratterizzato dalla perdita di ascolti della tv generalista e dall’affermazione dei canali tematici gratuiti, nativi digitali.
A parte la Germania, che però ha due tv pubbliche, Ard e Zdf, l’Italia è il Paese dove il servizio pubblico ha il maggior numero di canali tematici (11). La loro quota di mercato è arrivata al 6,2% nel 2012 ed è in crescita quest’anno. In Italia, del resto, vi sono 93 canali free, record europeo, anche se solo una cinquantina hanno un’utenza significativa.
La moltiplicazione porta alla frammentazione dell’audience e non è tutto: sempre di più, i giovani, ma non solo, guardano e "agiscono" sulla tv con un secondo schermo, mentre il vecchio televisore diventa una Smart tv, offrendo, se collegato in Rete, servizi video e audio, a loro volta in competizione (o in alleanza) con i broadcaster tradizionali.
Il resto è noto: la pubblicità ha avuto una forte contrazione, ma da settembre la discesa sembra terminata e la Rai attende un incremento tra l’8 e il 9% sul 2012. L’organico medio è di 13.140 dipendenti, di cui 11.390 a tempo indeterminato, tra cui 1.640 giornalisti e 1.750 a tempo determinato. In particolare, 861 sono sopra i 60 anni e solo 120 sotto i trenta. Alla fine di quest’anno 600 dipendenti dovrebbero andare in pensione: costo 60 milioni.
L’evasione del canone è stimata al 27% delle famiglie e qui l’azienda non ha inserito azioni nel Piano industriale 2013-2015 perché si tratta di decisioni che dovrebbero prendere Parlamento e Governo.
Il Piano ha fatto partire, da sei mesi, 12 cantieri su altrettanti nodi cruciali per il futuro dell’azienda, dalla pubblicità al rilancio della radio, dal web alla digitalizzazione. Al risparmio dei costi si aggiungono investimenti, come i 163 milioni che serviranno per digitalizzare i Tg. Dopo il Tg2, già in digitale sarà la volta, entro marzo, di Tg1 e Tg3 mentre RaiNews sta per passare all’Alta Definizione e lanciare un portale informativo che dovrebbe, secondo i piani, diventare il centro dell’informazione pubblica sul web, superando l’attuale situazione che vede ben 560 siti targati Rai. Passeranno al digitale anche sei-sette sedi regionali l’anno.
La Rai, in altre parole, prepara il suo switch off, dopo quello del Paese, per diventare un’azienda interamente digitale, dall’ideazione al consumo (multipiattaforma) con tanto di "ritorno" da parte del pubblico. Bisogna cambiare non solo le tecnologie, ma anche i processi, de-materializzando i contenuti (convertendo le cassette in file digitali). Al termine di tale percorso, ciascun giornalista della Rai potrà accedere, dal suo terminale, all’archivio Rai oltre che a fonti esterne e potrà continuare il proprio racconto su Internet e sul blog. Questo significa che 50 anni di tv, e di storia del Paese, saranno digitalizzati in tre-cinque anni, eliminando, solo a Roma, quattro milioni di supporti e 400mila nastri, più l’intero repertorio delle sedi regionali. La Rai punta ad essere un sistema cross-mediale che dialoga con il proprio pubblico. Dal quale, finora, mancano i giovani: da qui l’obiettivo di mantenere l’attuale quota di mercato, ma ringiovanendola, utilizzando il web e i social network. Il modello è quello di Una mamma imperfetta, partita su Internet e arriva nei palinsesti di Rai2.
In silenzio, la Rai ha messo a punto un sistema, Tw-live, per avere il monitoraggio di accade su Twitter per ogni programma live, anche della concorrenza. Per Report o per Ballarò, ad esempio, si può sapere quanti tweet sono stati lanciati sul programma, quanti retweet, con quali hashtag e chi sono stati gli utenti più attivi (uno dei primi è, in genere, la redazione del programma stesso).
Sono innovazioni che arrivano dai cantieri, tutti coordinati e connessi in tempo reale e con un proprio responsabile, in modo che il vertice possa valutarne i progressi. Così per la pubblicità, il cambio di nome da Sipra a Rai Pubblicità, nelle intenzioni, significa avere una filosofia unica di gruppo nella politica verso le aziende mentre per l’internazionale, Rai Italia, dopo un periodo di pure repliche, riprende a sviluppare produzioni.
L’innovazione tecnologica viene utilizzata, come nel caso del tasto rosso del telecomando, per consentire di conoscere l’intera offerta dei canali Rai sul digitale terrestre, in modo da portare parte del pubblico a superare i primi nove tasti e scoprire il mondo dei canali digitali tematici. Rai Yo-Yò, tra gli altri, è diventato leader di ascolto tra i bambini in età prescolare.
A livello di controllo dei costi, imprescindibile per ogni società media in tempi di crisi, è stato lanciato il progetto on air, per conoscere il costo, tutto compreso, di ciascun programma trasmesso: non solo i costi di produzione ma anche quelli delle risorse utilizzate, tornando a quella contabilità industriale che la Rai ha avuto sino alla prima metà degli anni Novanta.
Un altro cantiere riguarda la radio, con il lancio dello standard digitale Dab a partire dal Nord-Est, l’uscita dalla trasmissione in Onde Medie, il riequilibrio dell’offerta, oggi principalmente parlata, verso il musicale. Ringiovanire l’offerta, il pubblico e la stessa azienda Rai è l’obiettivo.
Fin qui, in estrema sintesi, lo sforzo guidato dall’attuale vertice, con il quale la Rai sta affrontando il grande cambiamento in atto nel sistema della comunicazione. Restano diverse criticità, dalla ricezione - l’accordo raggiunto con Agcom e ministero dello Sviluppo va implementato - ad un’immagine presso i cittadini che risente in negativo del pesante cordone ombelicale con la politica. Quest’ultima, senza un progetto strategico per il digitale e l’audiovisivo, continua a muoversi in un’ottica "di parte", con la quale si giudica il "chi" rispetto al "come". Il percorso dell’azienda troverà più alleati all’esterno se si andrà nella direzione di restituire la Rai ai cittadini, sottraendola alla politica, a partire da governance ed azionariato.