Ciro Scognamiglio, La Gazzetta dello Sport 9/12/2013, 9 dicembre 2013
RUI COSTA INEDITO
«Ma davvero qui in Italia faticate a capire come abbia fatto a battere Cristiano Ronaldo per due volte di fila nella classifica dello sportivo portoghese dell’anno?». Il sorriso di Rui Costa — nome completo Rui Alberto Faria Da Costa — è largo e divertito. Poco più di due mesi fa diventava campione del mondo a Firenze e ieri ha concluso il primo «vero» fine settimana italiano da quel giorno meraviglioso: lo ha passato a Darfo Boario Terme, assieme allo staff tecnico e ai nuovi compagni della Lampre-Merida, il team italiano che 35 giorni prima del colpo iridato (era in scadenza di contratto) ha avuto la lungimiranza di strapparlo alla Movistar.
Sì, ci spieghi bene come ha fatto a battere Ronaldo, che quest’anno «rischia» di rivincere il Pallone d’Oro…
«Beh, Cristiano è un atleta formidabile, fortissimo. E’ sulla ribalta già da tanti anni, ha raggiunto tantissimi traguardi e gli chiedono sempre di più. Questo può essere un motivo. Prima del Mondiale, poi, io sono stato aiutato dalle vittorie di tappa al Tour: nel mese di luglio, in Portogallo lo seguono tutti. Comunque spero che il Pallone d’Oro lo vinca Cristiano, anche se non l’ho ancora conosciuto. A proposito, la vuole sapere una curiosità?».
Dica pure.
«Lui è nato a Funchal, Madeira, e io sono socio del Maritimo Funchal di calcio, con cui ho fatto anche qualche allenamento, a suo tempo. La mia compagna, Carla, è di Madeira. Stiamo insieme da sei anni e passo spesso le vacanze lì».
Lei invece è di Oporto?
«Della zona di Oporto, per la precisione di Povoa de Varzim. Una località balneare di 60.000 abitanti, con un porto antico».
E’ vero che la sua famiglia aveva un’azienda agricola?
«Ce l’abbiamo ancora, sempre nella zona di Oporto. Coltiviamo tante cose: legumi, patate, pomodori, lattuga. Anche io ci ho lavorato, ho sempre aiutato i miei genitori. Anche la bici è sofferenza. Sono questi i principi che hanno dato un senso alla mia vita, e li ricordo sempre quando devo pedalare e soffrire. Quando mi sembra di non farcela, penso alla fatica che hanno fatto i genitori nei campi per comprare la prima bici e farmi correre. Mio padre Manuel era ciclista dilettante, amava questo sport, ma non ha avuto la possibilità di fare il professionista. E’ contento ora che io lo sia».
Le sue passioni fuori dalla bici quali sono?
«La musica. Suonavo anche la batteria in un gruppo di amici. Il nome non lo ricordo! Facemmo un concerto, nella mia città. E poi gli animali, avevo tanti pappagalli. Ora il ciclismo mi assorbe tantissimo, è più difficile stare dietro al resto. Sono attivo sui social network, twitter e facebook. E per rilassarmi guardo la tv: documentari, auto...».
Veniamo all’agonismo: lo sa che la maglia iridata, negli ultimi anni, non ha portato molto bene ai suoi precedessori? La cosa la preoccupa?
«Oh, no. Per me la maglia iridata non è un peso, ma un onore. Ho 27 anni e penso che i miei anni debbano ancora venire. L’impatto con la Lampre poi è stato ottimo. C‘è gente competente e appassionata. Penso che sia un team ideale per supportarmi».
Intende dire: per fare il capitano al Tour e vedere fin dove può arrivare in classifica generale?
«Sì, anche. Ma non esiste solo il Tour e io non ci sto già pensando anche se la prima settimana, tra le tappe inglese e il pavé, sarà davvero tosta... Voglio fare bene anche nella prima parte di stagione, nelle classiche. Dovrei debuttare in Dubai, e poi fare la Challenge Maiorca e la Parigi-Nizza».
Torniamo per un attimo al Mondiale: quando ha capito davvero che avrebbe vinto?
«Sulla linea bianca. Non prima. Tra l’altro, ci sono state molte polemiche ma secondo me avevano poco senso. Nibali è stato sfortunato a cadere, ma lo stesso può dire Uran. Sulla tattica di Rodriguez e Valverde, credo che abbiano deciso le forze residue dopo una gara durissima. Non credo di essere, per intenderci, un campione del mondo per caso».
Per chiudere: con l’italiano come se la cava?
«Lo capisco abbastanza, ma non lo parlo ancora bene. In Italia finora ci ho corso soltanto, sono stato di passaggio durante una crociera a Genova e Savona, poi basta. Parole però come pasta, vino, pizza, parmigiano, risotto le conosco bene e da tempo. La vostra cucina merita la maglia iridata. E io, tra l’altro, da cuoco me la cavo niente male»