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 2013  dicembre 08 Domenica calendario

CHE COSA SI MUOVE A DESTRA

Vedremo fra qualche giorno se il governo Letta supererà lo scoglio del voto di fiducia, previsto per mercoledì prossimo. Ma se lo supererà sarà solo perché un manipolo di parlamentari guidati da Alfano ha creato un nuovo partito, il «Nuovo Centro Destra» (NCD), che si colloca a destra ma non intende interrompere l’esperienza del governo Letta.
Ma che cosa è questo nuovo soggetto della politica italiana? Che cosa pensa, che cosa vuole, che cosa ha di diverso dal VCD (Vecchio Centro Destra) di Berlusconi?
Un’idea me la sono fatta ascoltandoli una settimana fa a Milano, all’incontro-laboratorio organizzato dalle Fondazioni vicine al nuovo soggetto politico: una giornata in cui, evento più unico che raro, per il 95% del tempo i politici di professione, anziché parlare, hanno ascoltato quel che avevano da dire gli «altri», ossia imprenditori, professionisti, dirigenti, giornalisti, studiosi vicini alla nuova creatura di Alfano, e in qualche caso (come il mio) anche abbastanza lontani.
Che cosa mi sembra di aver capito?
Tre cose, direi. La prima è che il tratto distintivo fondamentale del «nuovo» centrodestra, quello che lo rende profondamente diverso dal vecchio Pdl, dalla Lega o dalla neo-nata Forza Italia, è la completa assenza del lessico anti-istituzionale che per vent’anni ha attraversato quelle forze politiche. In questo senso l’etichetta «moderati» che si sono auto-attribuiti calza a pennello: il rifiuto dell’estremismo, il rispetto per le istituzioni, una certa compostezza linguistica e politica sembrano effettivamente elementi costitutivi della nuova formazione politica.
La seconda cosa che mi è parsa evidente, sia parlando con chi era lì sia ascoltando gli interventi, è un certo rifiuto dell’agnosticismo morale della cultura laica, di destra e di sinistra. Sulla famiglia, sull’immigrazione, sulle politiche sociali, l’impronta della cultura cattolica pare piuttosto forte, e comunque più esplicita e visibile di quanto essa sia mai stata nella Lega e in Forza Italia (lascio naturalmente al lettore giudicare se questa sia una virtù o un difetto).
C’è poi un terzo aspetto che mi è parso evidente: il radicalismo in campo giudiziario. Il dibattito sulla riforma della giustizia è stato forse il più incisivo e convincente. Le idee sono quelle centrali della cultura garantista e liberale, ostile all’invasione della privacy, all’arroganza del fisco, alla carcerazione preventiva, al gioco di sponda fra pubblici ministeri e giudici. Tutte idee non nuove, e non certo peculiari della destra, ma qui finalmente dicibili, o dicibili in un modo più accettabile di quanto accadesse prima, quando a promuoverle era Berlusconi (per i propri fini), o erano i radicali (spesso in modo dogmatico), o era la sinistra illuminata (quasi sempre in privato e di nascosto).
Nel complesso, le idee non mi sono parse molto diverse da quelle del centrodestra come l’abbiamo conosciuto fin qui. Più credibili e più argomentate, in diversi campi. E tuttavia non troppo lontane da quelle che, in questi vent’anni, sono state il nucleo politico-programmatico di Forza Italia prima, del Pdl poi, della neo-nata Forza Italia oggi. Forse sono troppo severo ma, ai miei occhi di esterno, il Nuovo centrodestra appare, più che una forza politica nuova, come una sorta di Forza Italia senza la vis polemica di Berlusconi e Brunetta o, se preferite, come un vecchio vestito passato in lavatrice, per ripulirlo della macchia del Cavaliere, quasi che il limite fondamentale del centrodestra nel ventennio berlusconiano fosse stata la mera presenza di Berlusconi, e non piuttosto l’assenza di un vero progetto politico di destra. Un’assenza che, a mio sommesso parere, è particolarmente evidente sul terreno della politica fiscale, oggi come ieri ossessionata dalle imposte che gravano sulle famiglie (Irpef e Imu) e sostanzialmente disinteressata alle imposte che gravano direttamente sulle imprese (Ires e Irap). Un vero peccato, perché l’abbassamento delle prime produce solo consenso elettorale, mentre l’abbassamento delle seconde produce posti di lavoro.
Questa continuità di contenuti fra nuovo e vecchio centrodestra potrebbe sembrare un bene, e forse lo è, almeno per l’establishment politico del centrodestra. Ma, come hanno ben sottolineato il professor Giovanni Orsina e il sondaggista Antonio Noto nelle loro relazioni, può anche essere un rischio. Se ci si chiede chi potrebbe votare il nuovo (NCD) e chi è destinato a preferire il vecchio (Forza Italia) è difficile non cogliere il problema. Molti elettori delusi, o distanti dalla politica, o semplicemente arrabbiati potrebbero tornare a scegliere Forza Italia, ma molto difficilmente voterebbero un partito come quello di Alfano, troppo educato, raziocinante e istituzionale per i loro gusti. E, simmetricamente, gli elettori che potrebbero votare NCD sono soprattutto quelli che non sopportano più la deriva anti-istituzionale di Forza Italia e del suo leader, quel continuo alzare i toni e radicalizzare lo scontro.
Di qui una situazione un po’ strana. Se, come appare tutt’altro che escluso, Berlusconi non tramonterà troppo presto, o troverà un delfino in gamba da collocare alla guida della resuscitata Forza Italia, la capacità di attirare voti del partito di Alfano resterà bassa (attualmente pare compresa fra il 4 e l’8%), e il Nuovo centro-destra finirà per essere solo l’ennesimo satellite del partito di Berlusconi. Nello stesso tempo, però, proprio la diversità fra i due elettorati (quello di NCD e quello di FI) potrebbe rivelarsi la carta vincente del centrodestra alle prossime elezioni, perché i due elettorati – i moderati di NCD e gli anti-istituzionali di FI – non sono sommabili entro il medesimo partito, ma sono sommabilissimi mediante una coalizione che raccolga le diverse anime del centro-destra. Del resto, è proprio questo che i sondaggi degli ultimi giorni rivelano: dopo la mossa di Alfano, il centrodestra-arcipelago formato da Fi, NCD, Lega, Fratelli d’Italia, è tornato a sorpassare il centrosinistra-monolite raccolto intorno al PD, apparentemente avviato a diventare il «partito unico della sinistra».
Un insperato assist per Berlusconi, un duro colpo ai sogni di gloria di Renzi.