Antonio D’Orrico, La Lettura - Corriere della Sera 8/12/2013, 8 dicembre 2013
BERLINGUER O SNOOPY? VINCE IL MORETTISMO
Autobiografia di un ragazzo di Caserta che era comunista (ma senza frequentare il partito) quando tutti erano del movimento, che si identificava con la visione del mondo, ma ancora di più con lo stile (umano), di Enrico Berlinguer (il duro e puro) ed è poi finito nell’Italia di Berlusconi (l’impuro e duro). Nell’esistenza del protagonista si consumano piccole e grandi tragedie (e non è detto che le più piccole facciano meno male): emergenze sanitarie (il colera), cataclismi naturali (il terremoto), delusioni sentimentali (la prima fidanzata, anche se allora non si chiamavano più così, lo lascia per colpa di un pupazzo di Snoopy regalato a San Valentino; segno evidente, secondo la ragazza, di una incurabile mentalità piccolo borghese). Questi avvenimenti (compresa una partecipazione straordinaria di Sophia Loren imprigionata per reati fiscali nel carcere di Caserta) formano, informano, conformano e deformano il protagonista in un circolo (vizioso? virtuoso? viziato?) tra vita privata e vita pubblica che è il tema del libro. L’idea era buona ma la narrazione non la premia. Una tristezza programmatica di tipo adolescenziale (o berlingueriano, nel senso dell’austerità, se mi si passa il paragone) avvolge ogni cosa e la deprime. C’è poi una pigrizia linguistica che lascia passare indenni brani in politichese: «Nella sostanza, la domanda che mi facevo era: chi è il vero erede di Berlinguer? È la coalizione di centrosinistra che incarna la versione aggiornata, un po’ improvvisata, ma anche compiuta del compromesso storico; oppure è Rifondazione comunista, che ripropone in versione più labile l’alternativa democratica». Il libro viene presentato come un romanzo. Ormai tutti i libri vengono presentati come romanzi. Secondo me non lo è. Posso concedere che si tratti di un tentativo di fare del morettismo letterario. Ma senza la verve di Nanni Moretti.