Carlo Bordoni, La Lettura - Corriere della Sera 8/12/2013, 8 dicembre 2013
VIVA IL CAPITALE SOCIALE, PERO’ DEBOLE
In un popolare cartone animato di Hanna-Barbera, gli Antenati Fred e Barney giocavano a bowling, passatempo utile a mantenere le relazioni sociali al di fuori del lavoro: uomini primitivi, ma non troppo, avendo già scoperto il capitale sociale. Un termine destinato a entrare nel linguaggio comune, perché definisce l’insieme di legami personali, di conoscenze, di relazioni e capacità di interagire che costituisce un bagaglio formidabile per farsi strada nella vita e che, in senso più generale, rappresenta la struttura funzionale di ogni società. Perché le relazioni, come si suol dire, «contano».
Spezzati i legami di stretta familiarità, vicinato e amicizia, l’uomo d’oggi è impegnato in una partita di bowling da solo: triste e deprimente, ma rappresentativo della realtà attuale. Tanto che in Bowling Alone (tradotto dal Mulino come Capitale sociale e individualismo ) il sociologo Robert D. Putnam usa la metafora del gioco in solitudine per denunciare la perdita di capitale sociale. Putnam teme che, per effetto dei processi di individualizzazione, mobilità, precarietà e apertura delle frontiere, tutti fattori che portano all’allontanamento dall’ambito ristretto della comunità d’origine, il capitale basato sulle relazioni si disperda e finisca per causare gravi danni al tessuto sociale. Quasi una regressione o una rottura del rapporto individuo-società.
Per ristabilire l’equilibrio perduto è necessario tornare a stringere legami col prossimo; una pratica che può assicurare innegabili benefici economici, se è vero — come dimostrano gli studi compiuti sull’argomento nell’arco di quasi un secolo, da Lyda J. Hanifan a James S. Coleman — che un buon capitale sociale è capace di produrre benessere, ricchezza, sviluppo. Insomma, è il motore della crescita personale. Ma se il capitale sociale aumenta le occasioni di lavoro e favorisce il successo professionale, è probabile che sia anche responsabile delle differenze sociali.
Negli anni Ottanta Pierre Bourdieu, facendo propria una critica di matrice marxista, ne aveva denunciato la prassi ad excludendum , volta cioè alla formazione di élites privilegiate e le conseguenti disuguaglianze sociali. Di Disuguaglianze inaccettabili (Laterza), sulla scia delle critiche mosse da Bourdieu, parla ora Maurizio Franzini in un’analisi puntuale della realtà italiana, dove la trasmissione della ricchezza avviene quasi esclusivamente per via familiare. Infatti si riscontra una percentuale molto ampia di figli che restano nella stessa fascia di reddito dei padri, dal momento che i vantaggi sono «blindati» dalle famiglie e trasmessi alle generazioni successive con un alto grado di immobilità sociale.
«Il capitale relazionale — scrive Franzini — ha valore solo per chi lo possiede e non per la società nel suo complesso», facendo venir meno la sua qualità di beneficio collettivo. Questo immobilismo impedisce di legare il merito al risultato, aumenta la disuguaglianza e frena la crescita economica, mentre la modernità ci vorrebbe indipendenti dalle origini familiari, collocati nel posto giusto per merito individuale e non per eredità.
Nel nostro Paese, più che altrove, le relazioni sociali diventano indispensabili nel momento in cui non è garantito a tutti lo stesso trattamento: chi non ha un capitale sociale primario, di origine familiare, è portato a cercarlo per via politica, con la conseguenza di mettere a rischio gli ideali di libertà. Si consuma così il tradimento della modernità, che — nelle parole di Tocqueville, Stuart Mill e Pareto — avrebbe dovuto trovare nella mobilità sociale le ragioni della democrazia.
Inutile colpevolizzare il capitale sociale, alla maniera di Bourdieu, indicandolo come una prerogativa delle classi dominanti, oppure rivalutarlo, come fa Putnam, in forza di un nostalgico e ottimistico American way of life : la consistenza di questo prezioso patrimonio è più complessa e si è venuta adeguando alla società «liquida», perdendo di conseguenza il suo carattere classista e mostrando una decisa vocazione a promuovere l’interesse collettivo. Gli studi più recenti (Granovetter, Lin e Woolcock) guardano piuttosto alla qualità delle relazioni, distinguendo i legami forti, propri del capitale esclusivo, dai legami deboli, o di capitale inclusivo.
I legami forti sono quelli di sangue, famigliari, molto stretti, talvolta oppressivi e violenti, che letteralmente legano (bonding ) le persone con vincoli indissolubili di dipendenza; sono conservativi, permettono di mantenere lo stato di fatto. Se oggi si assiste a un’erosione del capitale sociale (come lamenta Putnam), è perché crollano i legami forti, sorta di barriera difensiva dei rapporti interpersonali che offriva stabilità e sicurezza. Lo dimostra il fatto che la famiglia, luogo privilegiato in cui sviluppare il capitale sociale primario, ha da tempo delegato alle organizzazioni cosiddette «artificiali» (religiose, scolastiche, sportive) il compito di supplire alla sue mancanze nell’educazione e nella socializzazione dei figli.
Invece i legami deboli si costruiscono a distanza, sono quasi dei ponti (bridging ) lanciati verso l’altro a creare reti informali; fondati sulla fiducia, il rispetto reciproco, il riconoscimento dei meriti. Sono reticolari e si sviluppano sul piano orizzontale; escludono in principio i rapporti familiari, privilegiando quelli da pari a pari, senza vincoli di subordinazione e senza centralità. Su questi si fondano le speranze di realizzare nuovi modelli di sviluppo e reti di relazioni in grado di riprodurre le condizioni di benessere.
Sulla falsariga di Francis Fukuyama (l’autore di Fiducia ), che attesta «come le virtù sociali contribuiscono alla creazione della prosperità», Paul C. Godfrey, nel suo More than Money («Più che il denaro»), propone cinque risorse esemplari per creare ricchezza ed eliminare la povertà, dove, tra le tipologie di capitale istituzionale, umano, organizzativo e fisico, spicca il vecchio capitale sociale, la cui importanza per uscire dalla recessione appare essenziale. Persino risolutiva, viste le attuali condizioni del sistema economico. Forse non si realizzerà un Italian dream , ma il capitale sociale, di tipo inclusivo, potrà diventare moneta da spendere in tempi di crisi.