Angelo De Mattia, Milano Finanza 7/12/2013, 7 dicembre 2013
DUE STORIE, UNA SVOLTA
Due banche sotto l’attenzione del mondo economico, finanziario, sociale e istituzionale: Monte dei Paschi e Banca popolare di Milano.
I motivi sono enormemente diversi perché grandemente diverse sono le rispettive situazioni così come assai differente è la posta in gioco. L’elemento che accomuna, sia pure in gradi diversi, le due banche è il confronto in atto con coloro che in esse lavorano e con l’ambente estero, direttamente o indirettamente, interessato agli sviluppi delle rispettive vicende, trattandosi di due istituti saldamente insediati nel territorio. Per entrambi, questo mese è cruciale per le scelte che si compiranno, ma per il Monte la prova del fuoco riguarda anche il principale azionista, oggi ancora possessore del 33,5%: la Fondazione. Questa si trova ormai a un bivio: se per vivere impedisce con il suo voto contrario l’aumento del capitale del Monte di 3 miliardi, per decidere il quale è stata convocata l’assemblea straordinaria del 27 dicembre, provoca un danno enorme allo istituto, ancorché non sotto il profilo giuridico, ma non tutela se medesima perché poi questa operazione si dovrà pur fare, se non si vuole la catastrofe e, con il voto negativo, il tempo in più che la Fondazione acquisisce è bilanciato dalla situazione di accentuata instabilità complessiva che si determinerebbe: insomma, saremmo di fronte al rischio che scatti la classica regola di Carlo Maria Cipolla riguardante il massimo della ridotta intelligenza, di colui, insomma, che danneggia consapevolmente un altro senza avvantaggiare, anzi danneggiando pure se stesso.
Meno crudamente, si potrebbe dire che propter vitam vivendi causam perdere.
Ma anche una diluizione pressoché completa della partecipazione nel Monte costituirebbe un arretramento storico: conseguenza di quel che è accaduto negli anni passati e delle resistenze di questo ente a scendere nella partecipazione, ma nel contempo addossamento del peso intero di una cruciale decisione ai componenti l’attuale vertice del tutto estraneo agli errori e ai gravi ritardi dei predecessori. Le cronache, nei giorni scorsi, hanno descritto la Fondazione come pronta a cedere la propria quota prima di avvicinarsi alla data dell’assemblea, ma si tratta di notizie tutte da verificare, considerato il frequente susseguirsi, in questa vicenda, di informazioni spesso non oggettive o parziali, seguite non di rado da smentite.
Ciò che almeno per ora andrebbe escluso è che motu proprio il vertice del Monte faccia slittare la riunione assembleare con l’intento di creare un contesto per meglio risolvere il groviglio che da armonioso, come venne definito per rappresentare i rapporti tra banca, fondazione, enti locali, partiti e società civile, è diventato tremendamente complesso.
Imboccata la strada della ravvicinata fissazione della data della decisione dell’aumento, ricevuti elogi e, comunque, favorevoli valutazioni tra gli operatori e da parte delle autorità italiane e comunitarie, una proroga avrebbe il sapore peggiore di quello che avrebbe avuto una inerzia che avesse portato a non fissare ancora la data dell’assemblea, alimenterebbe l’immagine di un vertice esitante, ancora sotto le spinte locali, a prescindere dal giudizio che su di esse si può dare, e qualcuno potrebbe pensare che ci si avvii ineluttabilmente sulla strada della nazionalizzazione. Nell’interesse della stessa Fondazione paradossalmente il rinvio non appare conveniente. Se, dunque, sembra opportuno non acconsentire alle sirene del rinvio, se ugualmente l’espressione in assemblea di un voto contrario della Fondazione all’aumento di capitale è sconsigliabile, allora, come si è accennato, l’agibilità di quest’ultima è assai ristretta, ai limiti di un dilemma siberiano. Per non parlare dell’eventualità, che si spera non si materializzi mai, di una tale ribasso del valore delle azioni dell’Istituto che induca le banche che hanno a suo tempo accordato un prestito su pegno di 350 milioni all’ente in questione a escutere la garanzia così concessa dalla Fondazione. A questo punto, una delle poche vie praticabili è proprio quella della vendita delle azioni che, però, deve coniugare la convenienza dell’operazione con un’attenzione all’azionariato che va a formarsi per il Monte. Giustamente l’ente in questione sottolinea che deve tutelare il proprio patrimonio nei modi possibili, il ruolo esercitato nel territorio e la storia che ha sulle proprie spalle. Deve uscire da questo dramma con dignità, ma anche con lucidità sul modo in cui affrontare il futuro e, pur in un inevitabile ridimensionamento di potenzialità e prospettive, continuare a svolgere una funzione importante per la società civile. Sarà possibile una ristrutturazione del predetto prestito di 350 milioni, sulla base di un’intesa con le banche creditrici? Quali che siano le scelte, esse dovranno essere compiute in queste settimane, prima dell’assemblea, anche se c’è qualcuno che ipotizza che l’aumento di capitale, una volta approvato nella sua interezza, possa essere attuato poi frazionatamente sulla base della delibera. Ogni decisione, comunque, che la Fondazione ritenesse di rinviare sarebbe destinata ad essere adottata in un momento forse più complesso. Sarebbe opportuna, in ogni caso, una collaborazione con la banca per migliorare il carattere di una scelta che sarà, pure essa, storica.
Quanto a Bpm, negli ultimi giorni si è assistito a un certo protagonismo della lista di Piero Lonardi, dal nome «Bpm, per l’indipendenza», che si oppone alla lista Giarda. L’assemblea per l’elezione del nuovo consiglio di sorveglianza si terrà il 21 dicembre. La lista Lonardi fa leva, appunto, sul mantenimento dell’autonomia della Popolare, lasciando intendere che nella lista antagonista non sarebbero assenti alcuni intendimenti di portare la banca ad una aggregazione con un’altra Popolare; pronta è stata la reazione dei sostenitori di Giarda per smentire questo disegno.
Verificheremo nei prossimi giorni se e come verranno affrontati i punti nodali dell’istituto che si chiamano forma giuridica, governance, strategie, aumento di capitale, formazione del consiglio di gestione e nomina del conigliere delegato, argomenti, questi ultimi, su quali le liste continuano a tacere, ma che sono fondamentali, al pari degli altri citati, per la decisione su voto. Stabilità, sana e prudente gestione, rafforzamento patrimoniale, netta distinzione tra dipendenti-soci e strutture decisionali e operative della Popolare sono argomenti del tutto esclusi dal confronto finora avviato, mentre prevalgono sollecitazioni elettoralistiche e slogan. È sperabile che, nell’interesse stesso di chi lavora nell’istituto, nei prossimi giorni si segnali una svolta che prenda il toro per le corna dei problemi veri, cerchi di non illudere nessuno, parli il linguaggio della verità, chiaramente indicando tutto ciò che va fatto per il futuro di una gloriosa tradizione. Il caso Montepaschi e quello della Fondazione stanno lì a dimostrare ciò che può accadere, non solo per scelte gravemente sbagliate, ma anche per il continuo rinvio della soluzione dei problemi, diversi, come si è detto, da quelli che incombono alla Bpm, ma pur sempre osservabili per una sorta di de te fabula narratur, che si farà bene a tener presente.