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 2013  dicembre 07 Sabato calendario

NON È UN KILLER MA PORTA LA P 38


Alla notizia, ironie, frizzi e lazzi si sono rincorsi sul web e sui socialnetwork. L’occasione era d’altronde troppo ghiotta e un assessore berlusconiano, con la pistola nella cintola negli uffici regionali, le battutacce cattive te le strappa dagli smartphone per farle planare su Twitter. L’uomo al centro del mirino, è il caso di dirlo per contrappasso, è Remo Sernagiotto, classe 1955, da Montebelluna (Treviso) che, nel governo regionale veneto, si occupa di Servizi sociali e politiche giovanili.

Un forzista antemarcia, avendo risposto alla chiamata azzurra di B. fin dal 1994 quando aveva deciso di accantonare per un po’ la sua fiorente impresa commerciale nel campo dello pneumatico, mi chiamavano «Remo coperton» ci scherza sopra anche lui, per buttarsi nella rivoluzione liberale del Cavaliere. E forzista è rimasto: l’unico assessore fedele a B. dopo la diaspora alfaniana.

Dalla discesa in campo, quasi vent’anni fa, era stato un crescendo, perché Sernagiotto parla la lingua della sua gente: «Come molti trevigiani mi sono fatto da solo», scrive nella sua biografia. Scrivevano invece il suo nome, e i tanti, nelle cabine elettorali, dandogli la preferenza: Sernagiotto. Alle regionali del 2010, l’avevano fatto in 11.324, roba che certe prime donne del sancta sanctorum di B., a Roma, non avevano messo assieme in tutta la loro carriera politica, sempre cooptati nelle posizioni migliori a ogni elezione. E magari poi sono trasmigrati nel Ncd. Sernagiotto, spirito imprenditoriale, abituato a vendere i suoi «coperton», col Veneto delle partite Iva, delle impresine, dagli artigiani cresciuti ma col capannone ancora da pagare, ci andava a nozze. E anche qualche mossa un po’ democristiana, che da quelle parti vuol dire Dna, non aveva guastato. Come quella volta che, come riferì la stampa trevigiana, aprì un ufficio nell’Asl del capoluogo «per incontrare i cittadini», iniziativa che, alle malelingue avversarie, parve la volontà di aprire un avamposto politico personale sul territorio.

O come quell’altra volta che, fatti due conti, aveva proposto a Mariastella Gelmini, allora ministro dell’Istruzione, di chiudere le scuole statali in Veneto, affidandole alle parrocchie o ai privati. O quell’altra ancora, quando aveva distribuito un avanzo di fondi regionali, con un grande bando a pioggia per tutte le onlus, da quelle di estrazione cattolica a quelle laiche e di sinistra, nell’antico solco consociativo. A fregarlo è stata la calibro 38 a tamburo inserita nella cintola e magari vista da qualche impiegato dell’assessorato, quando Sernagiotto girava senza giacca. Ne era nata una cagnara: alla prima riunione di consiglio, quelli delle opposizioni lo avevano accolto alzando le mani in segno di resa e non era mancato un vibrante appello del Pd, del capogruppo Lucio Tiozzo, a che Sernagiotto non entrasse armato. Sarebbe bastato appellarsi alle leggi che vietano di farlo nei luoghi pubblici o aperti al pubblico anche ai titolari di regolare porto d’armi.

Sernagiotto s’era schermito, dicendo d’essere legalmente armato da una trentina d’anni, per motivi di sicurezza legati alla sua attività imprenditoriale, e di non aver mai sparato un colpo. Poi aveva chiarito che in assemblea, con la 38 special, non c’era mai andato e che «l’incidente» era capitato durante un passaggio volante negli uffici.

Ma la macchina del fango, ormai, s’è messa in moto. La cosa però potrebbe non finire qui perché, secondo quanto riportato dalle cronache venete, la Procura di Venezia, dinnanzi a una possibile notizia di reato come quella del revolver assessorile, ha aperto un fascicolo. Vuoi vedere che ti indagano Sernagiotto? Da Remo coperton a Remo masagati cioè «ammazzagatti», come si chiamano in Veneto le pistole di piccolo calibro. Anche se una 38, insomma, è una pistola di quelle serie.