Alessandro Trocino, Corriere della Sera 7/12/2013, 7 dicembre 2013
DAI RICORSI ALLE MOTIVAZIONI I REBUS DI UNA SENTENZA CHE DIVIDE (ANCHE) I GIURISTI
ROMA — Sono poche le certezze, dopo la sentenza della Corte costituzionale che ha parzialmente bocciato il Porcellum . I giuristi sono divisi sull’interpretazione da dare. C’è chi sostiene l’illegittimità del Parlamento e finanche del governo, del Quirinale e della Corte costituzionale stessa (un terzo dei giudici sono di nomina parlamentare). E c’è chi sostiene che dopo la sentenza non cambia nulla, se non la necessità di un intervento sulla legge elettorale. Gli scenari politici sono molti e contrastanti, da uno smottamento rapido del governo a un allungamento della vita dell’esecutivo, nell’attesa di una nuova legge elettorale. Ma tutti dipendono dall’interpretazione della sentenza. Che, a sua volta, ha un punto d’approdo nella pubblicazione delle motivazioni, i cui tempi sono incerti. Ieri il presidente della Corte, Gaetano Silvestri, è intervenuto per spiegare che la Consulta parla solo attraverso i propri atti collegiali e le dichiarazioni ufficiali del presidente. Ma anche per sostenere implicitamente la legittimità delle attuali Camere: «Resta fermo che il Parlamento può sempre approvare nuove leggi elettorali, secondo le proprie scelte politiche, nel rispetto dei principi costituzionali». Questo il quadro dei pareri dei giuristi.
La sentenza della Corte costituzionale è retroattiva? Questo Parlamento è illegittimo?
La maggioranza dei giuristi ritiene che il Parlamento, almeno fino alla pubblicazione della sentenza, sia legittimo e i suoi atti precedenti conservino valore. Secondo l’avvocato ricorrente Felice Besostri, la sentenza non è retroattiva e «solo le Camere sono giudici di ammissione o decadenza dei loro membri». Non solo, secondo Riccardo Chieppa, ex presidente della Consulta, «atti e nomine compiute finora dal Parlamento non decadono». Per Piero Capotosti «i Parlamenti eletti dal 2006, le leggi e il capo dello Stato sono situazioni irretrattabili, che non si possono cancellare». Dello stesso parere è Francesco Clementi: «Vale la regola tempus regit actum, ossia gli atti posti in essere fanno riferimento a quel dato momento». Secondo Cesare Mirabelli, «il Parlamento è pienamente legittimato ad agire». E Valerio Onida conferma: «La sentenza non inficia la legittimità del Parlamento né delle sue deliberazioni passate e future». Secondo il politologo Roberto D’Alimonte, invece, la delegittimazione è totale, dalle Camere al Quirinale.
E dopo le motivazioni che succede? Ha conseguenze la mancata convalida dei deputati (oltre la metà)?
Su questo punto le opinioni sono fortemente contrapposte e, nel dubbio, si proverà ad accelerare l’iter delle convalide. Che però è in mano alla Giunta delle elezioni, presieduta dal 5 Stelle Giuseppe D’Ambrosio, che non ha nessun interesse a fare in fretta. Secondo molti la mancata convalida non avrebbe alcun effetto. Capotosti, invece, spiega che «dopo le motivazioni, l’ombra dell’illegittimità costituzionale potrebbe estendersi a tutto il Parlamento. I parlamentari non convalidati rischiano di essere illegittimi, come le norme approvate dopo di allora». Anche per Francesco Clementi, «se il Parlamento non fa in tempo a convalidarli, gli eletti decadono». Non è la tesi di Massimo Luciani, «perché vale il principio di continuità degli organi costituzionali».
Che succede ai deputati eletti con il premio di maggioranza senza soglia, bocciato dalla Corte?
Molti giuristi sostengono la non retroattività della sentenza, che quindi non avrebbe effetti sul Parlamento presente. Per Capotosti, invece, i deputati eletti grazie al premio di maggioranza «diventano illegittimi, a meno che non vengano convalidati nel frattempo». C’è anche un interesse politico a delegittimare i deputati eletti con il premio di maggioranza (cassato dalla Corte), molti dei quali del Pd. Ma Pellegrino, che pure è d’area democratica, sostiene che «essendo eletti sulla base di una norma illegittima, devono essere sostituiti in ogni caso».
Sono possibili ricorsi degli aspiranti parlamentari esclusi?
In linea di massima no, come sostiene Stefano Ceccanti, «perché decidono a maggioranza la giunta e poi l’Aula, senza possibilità di ricorsi». Ma subito dopo il voto, ad aprile, Pellegrino, a nome del Movimento dei diritti del cittadino, aveva già presentato ricorsi alle giunte di Camera e Senato, proprio contro il premio di maggioranza. Pellegrino ieri ha depositato una memoria alla giunta della Camera: «Ora sarebbe eversivo ignorare la Consulta. I 148 eletti con il premio sono abusivi. E se fossero confermati, ci potrebbero essere 148 cause civili di richiesta delle indennità, che produrrebbero un enorme danno erariale allo Stato».
Questo Parlamento può fare una legge elettorale?
La Corte ritiene di sì, come ha ribadito ieri il presidente Silvestri. Secondo Valerio Onida «il Parlamento dovrebbe provvedere prima che escano le motivazioni della Consulta». Ma per Pellegrino, occorre che sia «una riforma ampiamente condivisa, perché certo non si possono usare le maggioranze incostituzionali per approvare la legge elettorale».
Si può votare subito, senza un intervento legislativo?
La Corte non ha reintrodotto il Mattarellum , ma fatto rivivere il proporzionale senza premio. È opinione prevalente che ora serva un intervento sulle preferenze e sulle circoscrizioni. Per Ceccanti «non è chiaro se la parte relativa alle preferenze sia direttamente applicabile». E non è chiaro se serve una legge o basta un intervento regolamentare. Ma se si votasse con le preferenze nelle attuali circoscrizioni, spiega Ceccanti, «ci sarebbero gravissimi problemi di spese elettorali, visto che i candidati dovrebbero spendere milioni di euro. E ci sarebbe un fortissimo attivismo giudiziario rispetto ai neo-eletti, viste anche le norme rigoriste introdotte dalla Legge Severino, come il traffico di influenze».
Quale legge elettorale ha più probabilità di venire approvata?
La Corte non dà indicazioni. «Contrariamente a un’opinione diffusa — sostiene Paolo Armaroli —, la Corte non ha bocciato il Porcellum per tornare al Mattarellum ». Ma tra le leggi che hanno più probabilità di trovare un consenso trasversale (per esempio tra Pd e M5S) c’è proprio la Mattarella. Che per Giovanni Guzzetta, «è l’unica opzione possibile».
C’è un altro ricorso pendente alla Consulta, quello fatto dalla Regione Friuli-Venezia Giulia.
La decisione è attesa per l’11 febbraio e verterà sul conflitto sollevato dal Friuli-Venezia Giulia, che lamenta di avere avuto un eletto in meno del dovuto. L’esito potrebbe influire su altre 5 Regioni. Il ricorso pendente è uno dei motivi che ritarda la convalida dei deputati eletti.