Gabriele Romagnoli, La Repubblica 7/12/2013, 7 dicembre 2013
LA RICOMPARSA DI SALINGER
E dunque questi sono i tre racconti inediti di J. D. Salinger: apparsi e scomparsi su Internet, mi arrivano in un file che sarà consultabile solo per un breve periodo di tempo. Decido di non salvarne il contenuto: leggerò e ricorderò, come accade nei casi migliori (sperando sia uno di quelli). Affronterò il senso di colpa e la paura della delusione. Sono tra i pochi ad aver amato alcuni racconti di Salinger più dell’unico romanzo conosciuto,
Il giovane Holden.
Ho, dell’uomo, un’idea contrastata: ho visto il documentario e letto la monumentale biografia su di lui, conosciuto la scrittrice che, al tempo una ragazza, lui attirò nel suo eremo per poi allontanarla quando, come accade anche in relazioni meno letterarie, il sesso perse urgenza.
Il senso di colpa è la sensazione che ti pervade quando varchi un confine non autorizzato dell’esistenza di Salinger, come scrittore e come uomo. Ha messo dei paletti così avanzati che è impossibile non calpestare terreno proibito. Nel farlo si ha una sensazione, se non di violenza, di mancanza di rispetto per l’autore riluttante, la persona reclusa. È un effetto che ha saputo produrre ad arte. La scelta dei vocaboli non è casuale, poiché questa più di ogni altra è stata la sua arte: poetica dell’assenza. Eppure, come in ogni tecnica artistica, si tratta appunto di un effetto. Noi osserviamo quello e trascuriamo la causa. A differenza di altri scrittori, il cui disagio era insanabile, Salinger non si è ucciso giovane, si è semplicemente ritirato giovane. Ha continuato a vivere, mangiare (in modo ossessivamente salutista), fare l’amore (con donne diverse e sempre giovani), scrivere. Come un illusionista, ci ha nascosto tutto questo: lo ha fatto nella cassa in fondo al mare che era il suo rifugio nel New Hampshire. Questi racconti inediti che leggo in versione “pirata” non ha vietato che fossero letti (già lo si poteva fare in due biblioteche universitarie), semplicemente pretendeva che accadesse più avanti, in un caso a cinquant’anni dalla morte. Se il divieto fosse stato assoluto ci sarebbe da sentirsi in colpa davvero: avrebbe tentato di cancellarli perché non vi si riconosceva. È invece relativo: una bizza, forse un tentativo di riaccendere la propria fama quando l’eco di Holden (e di Esmè) si sarà affievolito. Il tempo ha un solo limite per gli umani: ci sei per contarlo o non ci sei più. Non esserci per cinquant’anni non rende più distanti o meno vulnerabili. Ma c’è di più. Il fatto che i testi siano inediti è un caso: lo sono perché respinti da chi li aveva ricevuti per pubblicarli. Per lo più con una considerazione riassumibile in un aggettivo: deprimenti.
Ecco allora la paura della delusione: che non siano all’altezza di Salinger. È un timore fondato e basato su precedenti esperienze. Certe scivolate dei grandi finiscono per restare impresse come i loro capolavori. Di Hemingway non riesco a togliermi dalla testa Il giardino dell’Eden, quel misfatto in cui il protagonista si aggira con la moglie per la Francia meridionale cercando la fonte dell’acqua Perrier e decolorandosi i capelli. Di Malaparte le lettere segrete a Virginia Agnelli che cominciano con “Cara Scianflusciona”. Sulla lettura del Salinger inedito incombe un’ulteriore minaccia: uno dei tre racconti è stato annunciato come un prequel del
Giovane Holden, che vi compare con quello che al cinema si definirebbe un cameo. Lo si sapeva da tempo giacché di questi e degli altri testi non pubblicati esistono in rete sinossi e critiche, le più complete sul sito “Deadcaulfields.com”. Un conto è leggere quelle, un altro i racconti per esteso.
Affronto quindi il primo: L’oceano pieno di palle da bowling, il più importante perché ricollegabile al romanzo. Vi compaiono i due fratelli di Holden: Vincent e Kenneth. Il primo è la voce narrante, come anche in un altro racconto ancora invisibile: L’ultimo e migliore dei Peter Pan.
Inizia con una descrizione di Kenneth così struggente da farne presagire la fine imminente. Il ragazzo è curioso, vitale, ama la letteratura, ma ancor più la vita. Per Vincent la scrittura viene prima dell’esperienza, in suo fratello le due cose si completano. Sono a Cape Cod, è estate, il fratellino Holden è al campeggio da cui scrive una lettera delle sue, una pagina che per energia e comicità preannuncia il romanzo. La parte centrale è un racconto nel racconto. Vincent lo ha appena scritto e lo legge al fratello. Parla di un uomo frustrato dalla moglie che gli consente soltanto di andare al bowling il mercoledì sera. Quando il marito muore, lei scopre che usava quella libertà per vedere un’altra donna. Nell’ultima scena infrange la finestra buttandoci contro la palla da bowling, che ricade nel giardino e lì resta. A Vincent il racconto non piace. Per ironia lo trova «deprimente». Suggerisce di tagliare il finale. Vincent, deluso, lo strappa. Ogni autoriferimento non può essere casuale.
Ma quella storia, quella scena mal tollerata, sono un presagio
narrativo. Kenneth, al solito vivace, vuole andare a nuotare, benché l’oceano sia solcato da cavalloni che corrono e s’infrangono come palle da bowling contro i birilli. Sarà una di queste ad abbatterlo. In una scena, questa sì, agghiacciante, Vincent lo riporta a casa e il fratello Holden, appena rientrato, lo aiuta a trasportare il corpo. Deprimente? Ben altri aggettivi verrebbero, se usare aggettivi fosse opportuno. Il racconto ha un’intensità quasi intollerabile, svolte repentine, fa sorridere e ferisce. Si chiude rivelandosi come un congedo. Esprime una concezione della letteratura come liberazione: dalle ossessioni, dai ricordi, dagli affetti e dalla vita stessa. Il tema è il medesimo, centrale in tutta l’opera nota e ignota di Salinger: crescere è un modo di morire. Non c’è ingenuità nei suoi ragazzi, ma consapevolezza. Adolescenti, scrivono racconti sull’adulterio. Hanno già capito, visto e previsto. Per quanto curiosi e vivaci, pensano, sanno che il resto sarà o sarebbe soltanto delusione, compromesso e sofferenza. È una giornata stupenda quella in cui Kenneth va incontro alla palla da bowling che non voleva sentir nominare. Verrebbe da dire: «Un giorno ideale per i pesci banana », per fermarsi nel fulgore, uscire dalla vita ed entrare nell’eternità della narrazione. In confronto a questo testo
Paula e Birthday boysbiadiscono.
Il primo racconto è rimaneggiato, il secondo abbozzato. Sono pressoché esperimenti. Uno è, per quanto si sappia, il solo tentativo di storia dell’orrore fatto da Salinger.
L’altro gli si avvicina. Una donna impazzisce perché non riesce a restare incinta e vive, nel chiuso di una camera, una gravidanza immaginaria al termine della quale concepisce se stessa come neonata finendo per far ammattire e ricoverare il marito. Un reduce alcolizzato sfoga la propria rabbia sulla fidanzata che lo visita in ospedale minacciando di ucciderla se mai tornerà a trovarlo. E nell’ultima riga si lascia intuire che lei lo farà, lui manterrà il proposito.
Ci ha lavorato molto, Salinger, a questi tre racconti. Avrebbe voluto lavorarci ancora prima di congedarsene, poiché la letteratura, soprattutto la sua, solo da se stessa non sa staccarsi. Vive di sé e per sé, astratta perfino dal lettore. Non lascia spazio, non consente interpretazione, detta i modi e i tempi. Ci colpisce alle spalle, come un’onda anomala in un giorno d’estate. E talvolta non chiediamo altro che questo: la forza dell’invisibile, la forza di quel che non c’è.