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 2013  dicembre 07 Sabato calendario

NEL MEDIOEVO L’AMOR VENALE ALLA LUCE DEL SOLE


Nel 1975 le prostitute di Lione occuparono la chiesa di St. Nizier per protestare contro la repressione poliziesca di cui erano vittime, dando inizio a un’accesa stagione di dibattiti su un problema fino allora rimosso. In quel tempo Jacques Rossiaud stava terminando la sua ricerca nei ricchissimi archivi di Digione su un tema altrettanto negletto dalla storiografia: la prostituzione nel Medioevo. A distanza di quasi quarant’anni, le ricerche si sono moltiplicate in tutta Europa e lo storico francese ritorna sull’argomento con una sintesi destinata a far discutere.

Il Medioevo di Rossiaud non è l’intero millennio medievale: fino al XII secolo non si sa quasi nulla. Il suo è il ricco Medioevo urbano dei comuni, dei cantieri e dell’industria tessile, con le sue città piene di garzoni, operai e apprendisti, dove solo un terzo dei maschi adulti erano sposati. Un Medioevo che nel Trecento conosce il sovrappopolamento, la fame e la peste, ma poi attraversa nel Quattrocento un’era di prosperità senza precedenti, di clima favorevole, raccolti abbondanti e alti salari. In quelle città la prostituzione è diffusa e accettata, il postribolo pubblico è gestito dal municipio, gli onnipresenti bagni pubblici sono teatro d’un commercio sessuale a mala pena mascherato, e le prostitute sono integrate nella società in un modo che diverrà impensabile in seguito. All’inizio del Cinquecento i brividi d’un mutamento climatico che prepara la «piccola era glaciale», gli orrori della sifilide e il moralismo dei riformatori protestanti metteranno fine per sempre a quella stagione, ricacciando le prostitute nell’illegalità e nell’invisibilità.
L’accettazione della prostituzione trova riscontro nelle riflessioni dei teologi. Prostituirsi è un peccato, ma la prostituta ha diritto al suo guadagno, decide san Tommaso; le prostitute possono andare a messa come chiunque altro e la Chiesa accetta volentieri le loro elemosine. Il problema è semmai di decidere chi è la prostituta, perchè non basta la promiscuità, troppo diffusa in una società dove le coppie non sposate arrivano al 20% e dove l’adulterio è abituale («ognuno di noi ha fatto becco qualcun altro», dichiara tranquillamente Montaigne). I teologi si divertono a calcolare: con quanti uomini diversi deve andare una donna perchè sia lecito definirla prostituta? Ai più severi ne bastano 40, ma c’è chi ne pretende 23.000! I governi sono più rigidi: secondo gli statuti di Savigliano, una donna che ha avuto relazioni con più di quattro uomini è considerata una prostituta.
L’analisi dei teologi si allarga a una valutazione più ampia della sessualità. Impegnata a combattere gli eretici catari, col loro rigido rifiuto del corpo, della procreazione e del sesso, la Chiesa riconosce con san Tommaso che il piacere fisico è cosa buona, almeno all’interno del matrimonio. Rimangono dei tabù, ma concentrandosi su questi i teologi finiscono per autorizzare implicitamente tutto il resto. L’ossessione peggiore è la sodomia, e non solo quella omosessuale: per Bernardino da Siena è meglio che una donna si unisca col suo stesso padre in maniera naturale, piuttosto che contro natura con suo marito! Ogni epoca ha le sue ossessioni predilette e l’orrore dei predicatori medievali per la sodomia ricorda quello dei medici ottocenteschi per la masturbazione, fin nell’evocazione di devastanti effetti fisici: Bernardino descrive una donna abituata ai rapporti contro natura come un «povero essere... indebolita, esangue, livida, quasi agonizzante». Ma, appunto, in confronto a questi eccessi tutto il resto è peccato veniale, come dimostra la tacita tolleranza del concubinato dei preti («Le diocesi ben inquadrate contavano ancora dal 15 al 20% circa di concubinari nel XIV secolo; le altre, da due a tre volte di più»).
Rossiaud non nasconde che la diffusione della prostituzione nel Medioevo è anche un effetto della terribile debolezza delle donne sole, servette venute in città dalla campagna, mogli malmaritate o vedove rimaste senza mezzi di sostentamento. Ma nel suo libro prevale l’immagine di un mondo dinamico e integrato, che non si può costringere nella categoria della marginalità, un tempo così popolare fra gli storici. In molte città le ragazze dei bordelli, chiusi durante la Settimana Santa, sono ospitate in quei giorni di forzato riposo in conventi o ospizi e il municipio paga loro un’indennità di mancato guadagno. Le leggi riconoscono loro il diritto di abbandonare il bordello quando vogliono, di circolare liberamente in città, di partecipare alle feste pubbliche e di firmare contratti; i giovani preti che celebrano la loro prima messa usano festeggiare l’avvenimento ballando con le prostitute, come osserva scandalizzato un predicatore francese.
Rossiaud evoca con apprezzamento quegli studi sulla prostituzione attuale che, scrive, hanno smesso di insistere sulla sola vittimizzazione femminile, e uscendo da una prospettiva di genere rivelatasi asfittica mettono l’accento sulla volontarietà delle scelte e sulla produttività d’un commercio che in casi come la Corea del Sud sarebbe addirittura uno dei fattori del miracolo economico. Ce n’è abbastanza per far discutere, e forse non solo gli storici.