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 2013  dicembre 07 Sabato calendario

CAINO FA LE FRITTELLE


Forse per capire meglio i cinesi e la loro cucina dovremmo darci del «tou». Nel senso che dovremmo imparare ad usare la loro piccola e versatile «mannaia» che porta questo nome. Loro la usano per sfilettare e squamare il pesce, affettare le verdure e tritare la carne, schiacciare l’aglio, ma anche radersi, temperare le matite, uccidere i maiali e magari tenere a bada qualche nemico di troppo. Grazie al «tou» la cucina cinese è basata sullo sminuzzamento degli alimenti, carne, pesce o verdure che siano, il che da un lato rende possibile l’uso della bacchette e dall’altro rende inutile la presenza del coltello a tavola, cosa che a Pechino considerano volgare. Questa è solo una delle mille scoperte che si fanno sfogliando In punta di forchetta, straordinario viaggio (sono 350 pagine) che ripercorre l’epopea - la parola non sembri eccessiva - delle invenzioni in cucina realizzato da Bee Wilson, storica inglese, nonché critica gastronomica (ha una rubrica sul domenicale del Telegraph) e cuoca appassionata. E queste sue caratteristiche permettono al libro di intrecciare «alto e basso», nel senso che vi troviamo storia della tecnologia o della chimica e antropologia ma anche vecchie filastrocche («Vedo la luna, vedo le stelle, vedo Caino che fa le frittelle, vedo la tavola apparecchiata, vedo Caino che fa la frittata», quando racconta la nascita delle pentole) e memorie personali: dalle tazze sbrecciate dell’adolescenza al frullatore da cui la madre non riusciva a separarsi.

La Wilson nell’introduzione sottolinea come le storie della tecnologia, tutte prese ad analizzare i progressi nell’industria meccanica, informatica o militare, non prestino molta attenzione agli utensili che usiamo per trasformare il cibo, dimenticando che «in uno schiaccianoci c’è tanta creatività quanto in un proiettile». E per ovviare a questa lacuna nel suo libro racconta «come abbiamo domato il fuoco e il ghiaccio, come abbiamo maneggiato fruste e cucchiai, grattugie, passaverdure, pestelli e mortai, e come abbiamo usato le mani e i denti, tutto allo scopo di metterci il cibo in bocca». Aggiunge: «Nelle nostre cucine c’è un’intelligenza nascosta che condiziona il modo in cui mangiamo».
Così pagina dopo pagina cerchiamo questa intelligenza nel modo in cui si sono affinati o affilati i coltelli, nel lungo passaggio dal cibo cotto direttamente sul fuoco a quello reso commestibile grazie al passaggio in pentola o alla bollitura, nella rivoluzione che ha cancellato i mortai e i pestelli e introdotto il frullatore, a quella che ha permesso di passare dallo schiavo che girava lo spiedo per arrostire la selvaggina al moderno girarrosto. Si va dalla civiltà dell’antica Roma (lì nasce la patella) a quella degli inuit, dai cinesi di centinaia di anni avanti Cristo a Ferran Adrià. E se credevate che gli unici geni a costruire la loro fortuna in un garage fossero Steve Jobs e soci nel libro scoprirete che più o meno negli stessi anni c’era un tizio di nome Sontheimer che nello scantinato faceva esperimenti con una serie di Robot-Coupe (robot da cucina professionali per ristoranti) per arrivare a concepire il moderno Cuisinart che ha rivoluzionato il lavoro delle massaie forse non meno di quanto il computer abbia fatto con il lavoro di ufficio. Perché in cucina, sostiene la Wilson, «i dispositivi veramente rivoluzionari non sono quelli che ci consentono di fare qualcosa di nuovo, ma quelli che permettono di fare meglio quello che già facevamo».
Il libro è costellato di personaggi poco conosciuti ai più ma che hanno avuto un’importanza fondamentale nel nostro modo di mangiare e quindi di vivere. Un esempio fra i tanti è quello di Fannie Farmer, la cuoca bostoniana che nel 1896 con il suo best-seller (all’epoca vendette 350 mila copie) The Boston Cooking-School cook-book divenne la «madre delle misure rase». Ossia indusse le donne americane a usare come strumento di misura degli ingredienti la tazza, il cucchiaio o il cucchiaino «rasi». Il che ovviamente se per un ingrediente liquido può avere ancora un senso è abbastanza complicato per ingredienti solidi o per ortaggi (provate a misurare una tazza di fagiolini o di sedano).
Dalla Wilson capiamo che anche la storia delle tecnologie per la cucina vede trionfare il darwinismo: nascono, diventano di moda e poi scompaiono non poche invenzioni, più o meno utili. Qualcuna, come il microonde, si afferma nonostante faccia storcere il naso a molti, ma la Wilson, che è di fondo un’ottimista lo difende: «nessuno - scrive - si siede intorno al microonde raccontando storie fino a notte fonda. Il suo sportello di vetro non ci riscalda né le mani né il cuore. Chi crede però che il microonde non possa essere il punto focale della casa come lo era l’antico focolare, non ha mai visto un gruppo di bambini silenziosi e stupiti, intenti ad aspettare che un sacchetto di popcorn finisca di scoppiare, proprio come i cacciatori-raccoglitori dell’antichità intorno al fuoco».