Elisabetta Muritti, D Repubblica 7/12/2013, 7 dicembre 2013
CARO, HAI PRESO IL TUO PILLOLO?
La polemica, civile ma ferma, serpeggia in Francia e Stati Uniti. Ma come, sono vent’anni che periodicamente viene annunciata l’imminente diffusione commerciale di un contraccettivo maschile, e oggi siamo ancora fermi agli studi preclinici e clinici, sia pure di terzo livello (avanzato). Colpa dei maschi, poco propensi a un farmaco che richiede disciplina e attenzione al calendario (roba da femmine), e sospettosi di ogni manipolazione di desiderio, prestazioni, conferme di virilità e fertilità? Non c’è dubbio. Ma non è tutto. Colpa della fisiologia riproduttiva dell’uomo, complicatissima da “stoppare”, dal momento che all’ovulo mensile delle compagne contrappone circa 100-200 milioni di spermatozoi (peraltro scoperti nel Seicento) al giorno? Certo. Ma c’è chi dice che la soluzione è dietro l’angolo.
E allora? Allora la vera colpa sarebbe delle aziende farmaceutiche, economicamente più interessate a sviluppare un Viagra sempre più veloce ed efficiente invece che un “pillolo”, come viene confidenzialmente chiamato, sempre più affidabile e maneggevole. Della serie: visto l’invecchiamento dei benestanti del pianeta, meglio produrre medicine per anziani malati che per giovani sani. Se l’irritazione verso Big Pharma accomuna tutti, americani ed europei, ricercatori mainstream e blogger femministe, l’opinione pubblica francese, sempre la più progressista, ci aggiunge qualcosa di interessante e nuovo, come ha sottolineato un recente articolo di Libération: il senso di colpa da parte dei maschi evoluti, che Oltralpe vantano una lunga tradizione di tifo per la “contraception masculine” (così del resto si intitola un nuovo bel libro, scritto da due andrologi, Jean-Claude Soufir e Roger Mieusset, che sta facendo scalpore). Ecco che si riverniciano vecchi-nuovi sentimenti, un po’ persi in quest’epoca che adora ricavi e complotti: l’insofferenza per la paura mistica che da sempre connota la limitazione della fertilità maschile, la ricerca di un tipo di mascolinità accogliente e non aggressiva, la coscienza del corpo e della coppia, soprattutto la presa d’atto di una paternità responsabile e non solo biologica.
Marco Rossi, psichiatra e sessuologo, ne prende atto con cautela: «È il risveglio del maschio intelligente, che ha voglia di agire, di far sentire la sua voce. È una corda scoperta della nostra società. È l’ondata dei “prontissimi”. Ma tutti gli altri? È con questi tutti-gli-altri che dobbiamo far i conti».
I dati. Detto questo, il movimento Planning Familial e l’Ardecom, Association pour la recherche et le développement de la contraception masculine, buttano fuori a sorpresa il dato nazionale: il 61% dei maschi francesi prenderebbe volentieri il “pillolo”. Del resto, già qualche anno fa uno studio tedesco su 9000 uomini aveva riportato che tale parere favorevole caratterizzava il 71% degli spagnoli, il 69% dei tedeschi, il 49% degli americani, il 42% degli argentini... E gli italiani? Sospira Luigi Laratta, presidente dell’Aied, Associazione italiana per l’educazione demografica, di Roma: «Se dovessi basarmi solo su una lunga esperienza professionale, l’anticoncezionale maschile qui non arriverà mai. Oltre agli ostacoli clinici, in Italia ci sono una società e una cultura maschiliste che accettano per tradizione che sia la donna ad accollarsi tutto l’onere del controllo della procreazione. Capitolo chiuso, insomma, tanto più che i contraccettivi femminili sono man mano migliorati, mettendo a posto la coscienza sia della società che dell’industria farmacologica». Pessimismo totale, dunque? «Forse esagero. Tempo fa era stata fatta una ricerca sui giovani, e in effetti le percentuali teoricamente a sfavore non erano altissime, sul 60%. In realtà mi preoccupa di più il silenzio delle italiane: non si battono affinché la ricerca riparta, si adeguano alla mancanza di spinte commerciali, agli interessi. Spero in qualcosa che, al solito, verrà da “fuori”, una scoperta, una ricerca... ».
Anche Marco Rossi non eccede in entusiasmi: «Come non comprenderle, le aziende farmaceutiche, nella perplessità sul reale utilizzo di questo farmaco? Una medicina così andrebbe a cambiare l’approccio consolidato alla sessualità: i figli li fanno le donne, ed è una grande comodità per l’uomo, che non sa accettare i mutamenti del corpo neanche se finalizzati, che è in balia di una virilità messa a rischio persino da un soffio di vento. Stiamo ipotizzando un mutamento sociale pazzesco». Che nel nostro Paese richiederà tempi lunghi: «In Italia non c’è quell’educazione sessuale che potrebbe far capire ai maschi la bellezza di un corpo che cambia. Certo, sarebbe ora di cominciare, almeno dai giovani: il lavoro educativo preparerebbe il terreno e poi creerebbe dei “clienti”, e allora pure Big Pharma sarebbe disposta a investire. Tenendo presente alcune cose da cui siamo passati: la pillola femminile alla fine fu testata su donne portoricane, pronte a qualsiasi cosa purché non fosse un’altra gravidanza? Ora sarebbe improponibile... ».
Insomma, i numeri. I più cinici dicono che basterebbe tingere di blu il “pillolo”, cioè potenziarne il marketing con un po’ di Viagra, i più pacati sostengono che, visto il disinteresse di Big Pharma, occorrerebbero finanziamenti filantropici e crowdfunding. In realtà, ciò che occorre è la chiarezza sui metodi, sui pro e contro, e su una ricerca che è rimasta 50 anni indietro rispetto a quella sulla contraccezione femminile, arrivata alle pillole di terza e quarta generazione.
Fondamentalmente, esclusi i metodi “antichi” (astinenza periodica, coitus interruptus, preservativo), la contraccezione “per lui” si sta basando sullo studio di farmaci ormonali e di farmaci non-ormonali. Tra i primi, i più avanzati sono i composti a base di testosterone e progestinico somministrati in pillole, iniezioni, cerotti o impianti sottocutanei. Testati in più paesi non hanno evidenziato particolari effetti collaterali (l’efficacia del pillolo ormonale, con dosi extra di testosterone che ne riducono la produzione nei testicoli, è reversibile dopo qualche mese). Ma non hanno nemmeno incoraggiato le case farmaceutiche.
Lo studio. Maria Cristina Meriggiola, 52 anni, ginecologa esperta in medicina della riproduzione, ha coordinato all’Ospedale Sant’Orsola-Malpighi, Università di Bologna, la “pattuglia” italiana dell’esperimento e spiega perché il tutto ha subito una battuta d’arresto. «Lo studio multicentrico doveva preludere a quello di scala e alla commericalizzazione di un prodotto ormonale che si era già dimostrato funzionale. Ma è stato interrotto un anno e mezzo fa, nonostante la comprovata efficacia, per alcuni effetti collaterali difficilmente controllabili, in quanto i 10 centri nel mondo erano stati poco sintonizzati tra loro. Purtoppo erano pesanti effetti sull’umore, tipo depressione, forse preesistenti o concomitanti. Ma si sa, bisogna essere cautissimi. Molto più che con la pillola femminile: le donne ai tempi erano supermotivate, mettevano sull’altra parte della bilancia le gravidanze indesiderate». E quindi? Ride: «Quindi non so se vedrò mai il “pillolo” prima di andare in pensione! Penso però che il futuro sia nella contraccezione non-ormonale, il target delle molecole sta rivelando approcci interessanti».
Eccolo, il variegato panorama dei metodi non-ormonali. Che prendono l’avvio dagli studi ventennali di un dottore indiano, Sujoy Kumar Guha, scienziato che ha ricevuto sovvenzioni dalla Bill and Belinda Gates Foundation e “papà” della cosiddetta Risug, Reversible Inhibition of Sperm Under Guidance. Sostanzialmente una vasectomia reversibile ottenuta grazie a una “barriera” di polimeri iniettata nel vaso deferente, che si può poi eliminare con un “lavaggio”. La Risug è talmente semplice e poco lucrativa da non aver risvegliato alcun interesse; tanto che i suoi diritti internazionali sono stati ceduti a un ente Usa non-profit, la Parsemus Foundation, che l’ha adeguatamente rimodernata, resa biocompatibile e ribattezzata Vasalgel, nell’intenzione di combattere per la commercializzazione entro il 2015 (la sfida è raccogliere i 5 milioni di dollari necessari per gli studi tossicologici e clinici, e in questo senso ci sono contatti col meritorio Male Contrapcetion Information Project di San Francisco). E poi, c’è solo l’imbarazzo della scelta. Si va dall’Adjudin e dall’H2-Gamendazole, antitumorali che hanno rivelato inaspettate capacità di indurre il rilascio di spermatozoi immaturi, alla piccola molecola JQ-1, che blocca una proteina e interrompe la spermatogenesi nei tubuli seminiferi. Dalla Clean Sheet Pill (la pillola delle lenzuola pulite!), che, agendo sulla muscolatura interna, consente l’orgasmo ma blocca l’eiaculazione, al Gandarusin A, estratto dalle foglie della gandarusa, pianta dell’isola di Papua da secoli usata dagli indigeni maschi a scopi anticoncezionali, e oggi testata in Indonesia, il quarto paese più popoloso del pianeta (rallenterebbe l’abilità dello spermatozoo a penetrare nell’ovulo, e in più vanterebbe poteri afrodisiaci). Non dimentichiamone altri. Dalla disattivazione dell’utilizzo di vitamina A, essenziale per produrre gli spermatozoi, grazie al BMS-189453, farmaco antagonista dei recettori dell’acido retinoico, all’inibizione del gene Katnal1, necessario nelle ultime fasi di maturazione delle cellule germinali maschili. Fino agli studi sugli ultrasuoni, anch’essi sovvenzionati dalla Bill and Melinda Gates Foundation: basterebbero due sessioni di onde sonore sui testicoli, ogni tot mesi. Dunque i rimedi da studiare ci sarebbero, eccome. Ma la dotteressa Meriggiola conosce (e approva) l’obiezione di fondo dei sessuologi, e cioè che quello che manca, realmente, è l’educazione: «Ma l’educazione prevede un prodotto finalmente in commercio».