Lucia Sgueglia, Io Donna 7/12/2013, 7 dicembre 2013
YAKUTSK, LA CITTÀ DELLA SIBERIA DOVE SI VIVE A -40 GRADI
Sulla piazza centrale, anche la statua di Lenin sembra paralizzata, un fossile di marmo intrappolato nell’era glaciale: quel braccio sollevato in alto, che dovrebbe indicare il Sol dell’avvenire, è coperto di stalattiti e immerso in una nebbia gelida che blocca la visibilità a pochi metri. Ma il test infallibile è quello della saliva: provate a sputare, se la goccia diventa ghiaccio prima di toccare terra, allora siete a Yakutsk, la città più fredda al mondo.
Dove, se non in Siberia? Non uno sperduto avamposto abitato da pochi arditi, ma una vera città, di oltre 250mila abitanti. Per i quali, se il termometro segna meno 40 gradi sotto zero, è una “normale giornata d’inverno”: la temperatura media di gennaio, il mese più freddo dell’anno.
Le scuole non chiudono, negli uffici non si smette di lavorare, gli autobus continuano a circolare, negozi e cantieri sono aperti. La soglia critica è sotto i meno 50: allora, anche gli yakutiani ammettono di avvertire un brivido, e la vita rallenta.
«Per loro nella vita restano solo vodka, puttane, più puttane, più vodka» scrisse nel 1890 Anton Chekov visitando la regione. Come fanno a sopravvivere? «Regola numero uno, uscire di casa solo se è strettamente necessario. E non restare mai fuori per più di 30 minuti, che diventano 10 sotto i 50 gradi» spiega Bolat Bochkariov, un blogger locale che ama dare consigli a stranieri e aspiranti turisti dell’estremo: di recente, pare, vengono soprattutto dal Brasile.
Un salto all’alimentari sotto casa, se non sei vestito come si deve (incluso un doppio senza creparsi e non oscillare d’estate, gli edifici sono ancorati a palafitte conficcate nel suolo. Se si rompe una tubatura dell’acqua calda (succede), si rischiano centinaia di vittime.
Ora però il riscaldamento globale potrebbe cambiare le cose. Diverse case negli ultimi anni sono sprofondate. Ma gli scienziati del locale Istituto del Permafrost sono scettici: la temperatura si è alzata di un paio di gradi, ma la colpa dei crolli, assicurano, è dell’imperizia dei vecchi costruttori.
“Socialismo sul ghiaccio”, l’hanno chiamato, un folle esperimento: negli Anni ’60, dopo la scoperta di miniere di diamanti e oro, l’Urss decise di sviluppare la città, vi affluirono coloni da tutto l’impero, attratti da salari alti.
Oggi la capitale della Repubblica di Sakha, grande quanto l’India ma con solo un milione di abitanti, è la roccaforte di Alrosa, gigante minerario russo che fornisce oltre un quinto dei diamanti grezzi di tutto il mondo. Sotto la neve ci sono anche oro e petrolio. Ma Yakutsk non sembra una città ricca, molti quartieri periferici hanno l’aria di villaggi, con strade sconnesse e ingobbite.
L’estate? Esiste. Eccome: nel giro di pochi giorni la coltre di gelo si scioglie e di botto il termometro sale fino a più 35. Portando fiumi di melma e sciami di zanzare. Allora il problema diventano i collegamenti.
Perché Yakutsk, estrema in tutto, non è facile da raggiungere: la ferrovia non ci arriva (è in costruzione) e l’autostrada che la collega a Magadan, sul Pacifico, è percorribile solo d’inverno, quando i fiumi sono ghiacciati. Un tempo era famosa come la “strada delle ossa”, spina dorsale dell’Arcipelago Gulag della repressione sovietica, costruita dai detenuti della Kolyma.
Il fiume Lena, su cui si affaccia la città, d’estate straripa e il solo ponte che lo attraversa, diventa impraticabile. L’unico trasporto sicuro è l’aereo: 6 ore e mezzo di volo da Mosca e sei fusi orari, 230 euro il biglietto, un capitale per il cittadino comune.
Ma la maggior parte dei locali non vuole andare da nessuna parte: il 40% non è slavo ma di etnia iacuta, discendente di popolazioni nomadi oggi stanziali ma che conservano antiche tradizioni sciamaniche.
Al solstizio d’estate, a decine di migliaia si riuniscono per salutare il sorgere del sole a braccia tese e incamerarne l’energia per l’anno che viene. Ad ogni modo, a sentire i cittadini, Yakutsk è fortunata: «Almeno non abbiamo il vento».