Melania Mazzucco, la Repubblica 8/12/2013, 8 dicembre 2013
Mettimi come un sigillo sul tuo cuore, come un sigillo sul tuo braccio; perché l’amore è forte come la morte», recita il Cantico dei Cantici
Mettimi come un sigillo sul tuo cuore, come un sigillo sul tuo braccio; perché l’amore è forte come la morte», recita il Cantico dei Cantici. Didascalia adeguata al quadro di Rembrandt che rappresenta la più potente immagine dell’amore fra un uomo e una donna che sia mai stata dipinta. Due figure monumentali emerse da un indefinito spazio bruno occupano la superficie della tela. Sulla destra s’intravede la macchia rutilante di un albero di melograno, ma non c’è nessun altro indizio di luogo o contesto. Solo due personaggi che non si guardano nemmeno ma si affidano l’una all’altro, intenti a comunicarsi, coi movimenti delle mani e l’attitudine protettiva e accogliente dei corpi, il loro affetto e desiderio. Al gesto di lui – toccare con la mano destra il seno della donna che abbraccia con la sinistra (fino a quel momento, in pittura, allusione all’amore mercenario), viene restituita la purezza di un giuramento, che lei ricambia, sfiorandogli le dita. Al gesto della mano destra di lei, che indugia sul pube, la pienezza di un rapporto che sarà spirituale e insieme carnale. Il melograno, simbolo e promessa di fertilità, benedice l’unione. Dai loro abiti elegantissimi di seta e dalle pietre preziose (lei indossa tutti i suoi gioielli: anelli alle dita, braccialetti ai polsi, filo di perle al collo) si sprigiona una calda luce d’oro e di fiamma, equivalente visivo del sentimento amoroso. Il titolo del quadro, La sposa ebrea, è posticcio. Gli fu apposto solo quando ricomparve sul mercato artistico. Nel 1833, il banchiere Adriaan van der Hoop lo inventariò come «una sposa ebrea che il padre adorna con una collana di perle». Interpretava così l’apparente differenza d’età fra gli sposi, ignorando che i personaggi ritratti da Rembrandt non hanno età, perché il pittore non dipinge l’istante caduco ma la dinamica dell’esistenza e può far presagire l’adulto nel bambino e la vecchia nella giovane: ciò che cattura è l’essenza della persona, nella corrente del tempo. Nei successivi passaggi di proprietà, il padre divenne il marito, ma la sposa rimase. Che fosse ebrea è un’illazione senza riscontri documentari, o forse un desiderio. Rembrandt, che aveva abitato nel quartiere ebraico di Amsterdam, ritratto notabili della borghesia sefardita e trascritto caratteri ebraici nelle sue opere, era divenuto nel XIX secolo il pittore prediletto dai colleogni zionisti ebrei, e questo quadro sanciva la sua presunta vicinanza al popolo eletto. Chaïm Soutine andò in pellegrinaggio da Parigi ad Amsterdam, senza un soldo in tasca, solo per ammirarlo. Ci tornò altre volte. Per lui era il «quadro più bello del mondo». Sulla tela si legge la firma – Rembrandt f. (fecit) – e la data di composizione: 16.. Lacunosa delle ultime due cifre, come se l’opera fosse stata lasciata incompiuta. Rembrandt sembrava non voler finire i quadri. Per pigrizia, arroganza o stravaganza, dicevano i contemporanei che – dopo averlo esaltato e arricchito – gli avevano voltato le spalle. Noi diciamo: perché si era avventurato in sperimentazioni sempre più estreme, e nel non-finito che esigeva la collaborazione dell’osservatore aveva trovato lo stile più congeniale alla sua visione della pittura e della vita. La sposa ebrea è unanimemente assegnata agli anni fra il 1663 e il 1666. Anni di lutti e dolori, di liti coi creditori e i committenti delusi, ma anche di creatività sublime che gli ispira capolavori come Lucrezia o Simeone con Cristo bambino. Abbandonando la grandiosità barocca e il violento chiaroscuro dei decenni precedenti, si concentra su soggetti più interiori: le figure perdono forma, diventano liquidi fantasmi defi- niti dal colore, creature evanescenti intrise di luce. Non sappiamo se l’uomo e la donna fossero due ricchi borghesi che in occasione del loro matrimonio gli avevano commissionato, come usava, un ritratto di coppia. Vani sono stati tutti i tentativi di identificarli. I due sposi compaiono anche in altri ritratti di quegli anni, con le figlie, un garofano o una lente in mano. Come fossero presenze intime per il pittore. Non necessariamente reali. Pace, felicità e bellezza non abitavano più con lui. Rembrandt li creava altrove. Dipingeva quasi solo opere che parlano di vita, amore e redenzione. Le radiografie hanno mostrato che la donna in origine sedeva sulle ginocchia dell’uomo, come in un disegno degli anni Cinquanta in cui Rembrandt (citando un affresco di Raffaello nelle Logge Vaticane) aveva raffigurato Isacco e Rebecca, progenitori del popolo ebraico, che si abbracciano in un giardino. Dunque La sposa ebrea sarebbe un quadro di storia biblica, come molti altri di Rembrandt. Però i suoi contemporanei amavano farsi ritrarre idealizzandosi nei panni di eroi classici o biblici, e perciò il quadro potrebbe essere l’una e l’altra cosa. O nessuna delle due. Rembrandt abbatte le barriere dei generi e trasfigura il soggetto, sottraendolo a fonte e contingenza per coglierne l’essenza spirituale. Disloca i personaggi – chiunque dovessero essere – in un interno astratto, fatto di luce e di colore. Questo acquista nella Sposa ebrea una consistenza così stupefacente da rendere alla vista il godimento del tatto. Sulla gonna escresce in ruvidi grumi di porpora, sul mantello di lui sembra abraso con la spatola, sulla fronte della sposa adagiato con suprema delicatezza. La tela dipinta – una crosta granulare, pastosa, bitorzoluta – è un’epidermide, barbaglia incandescente come brace, vibra e pulsa come materia vivente. Questo quadro castissimo trasuda erotismo. Ma è un atto d’amore anche metaforico. Celebra l’amore – fisico – che un artista prova per la pittura. Per i pigmenti che miscela, depone strato su strato, fa essiccare e poi raschia, per le tecniche pittoriche che tutte impiega, le forme che inventa col pennello, la trasparenza delle velature, i riflessi della luce sulle stoffe. Amore in-finito e perciò inestinguibile. Non la vecchiaia, non la malattia, la morte delle compagne e dei figli, la rovina economica, l’incomprensione dei contemporanei e la disperazione, possono distoglierlo dalla sua vera sposa. Perché «l’amore è forte come la morte».