Antonio Monda, la Repubblica 8/12/2013, 8 dicembre 2013
NEW YORK
Pochi nomi nel mondo dello spettacolo sono sinonimi di controversia come quello di Oliver Stone, eppure l’establishment hollywoodiano, che da sempre preferisce la correttezza politica alla provocazione, gli ha attribuito ben tre Oscar: due come regista, per
Platoon
e
Nato il 4 Luglio,
e uno come sceneggiatore per
Fuga di mezzanotte.
A cominciare da
JFK
il suo nome è stato associato alle teorie del complotto: nel film l’assassinio di Kennedy risultava opera di una cospirazione nella quale erano coinvolti il Pentagono, l’Fbi, gli anticastristi e persino Lyndon Johnson. In un primo momento Stone ha reagito con autoironia (in
Daveinterpreta
se stesso intervistato su un possibile complotto), ma con
The Untold History of the United States
ha proposto tesi ancora più inquietanti. Per produrre questa serie di documentari, che in Italia va in onda su La Effe, ha messo di tasca propria un milione di dollari, equivalente a un quinto del budget, dichiarando che si tratta del progetto della sua vita, realizzato per educare le nuove generazioni. «Ho sentito il dovere di parlare ai giovani» racconta con veemenza «nella storiografia americana c’è un vuoto allarmante, che tende a coprire le responsabilità morali e politiche del nostro paese in troppi episodi dell’ultimo secolo. Io credo sia importante insegnare l’amore per la propria patria ed esaltarne le virtù, ma è grave coprire i lati oscuri. È come andare dallo psichiatra negando i problemi: mi spaventa come i libri di storia raccontano la guerra fredda, il Vietnam, il Watergate. Per non parlare della “guerra al terrore”, definizione volutamente
e gravemente nebulosa
».
Lei sostiene che gli Stati Uniti non sono più un paese modello di libertà ma un impero spietato, dominato da lobby potentissime.
«Mi sembra difficile negarlo, e ogni politico che ha tentato di opporsi a questa situazione è stato fatto fuori o addirittura ucciso ».
Chi detiene il vero potere negli Stati Uniti?
«Non esiste un potere unico e centralizzato, ma una serie di interessi che a volte si scontrano mortalmente. Il potere politico rappresenta solo una parte di questo gioco e non necessariamente il più potente: pensi a Wall Street, ai media, alle lobby. E poi ai contratti sulle armi, sull’industria aereo-spaziale... Sia Roosevelt che Kennedy rimasero sconvolti quando si resero conto della propria impotenza ».
Qual è il confine tra storiografia
e dietrologia?
«Il confine è rappresentato dai documenti, che spesso sono manipolati e ignorati. Io sono il
primo a pensare che sia assurdo vedere dietro ogni avvenimento una cospirazione, ma è ancora più assurdo non rendersi conto che questo paese, basato su una promessa di libertà, oggi è dominato dal potere e il denaro ».
Alcuni storici accusano lei di manipolare i documenti e ignorarne altri.
«È il motivo per cui mi sono avvalso del lavoro di studiosi, portando montagne di documenti a sostegno delle mie idee. Mi rendo conto che è scomodo ricordare il ruolo americano nel sostegno a orribili dittature, o che sono stati gli Usa i primi ad avere un atteggiamento aggressivo durante la guerra fredda. Parlo di responsabilità morali, insomma: del passato e anche molto recenti».
Qual è secondo lei il momento in cui gli Usa finiscono di essere il punto di riferimento ideale del mondo libero?
«La perdita della leadership morale avviene con le bombe atomiche, inutili e immorali. E prima ancora con la nomina di Truman al posto di Wallace, vicepresidente di Roosevelt. La storia sarebbe stata diversa: niente bomba atomica e probabilmente niente guerra fredda. Ma questo urtava troppi interessi ».
Ritiene che un paese potente possa sporcarsi le mani a fin di bene?
«Bisogna intendersi su cosa si intende per sporcarsi le mani: Lincoln corruppe senatori per portarli dalla sua parte, ma abolì la schiavitù. E la seconda guerra mondiale liberò il mondo dal nazismo. Diverso è conquistare altri paesi, rovesciare governi, massacrare civili, ignorare la costituzione per fini imperialistici ».
Come risponde all’accusa di revisionismo?
«Anche qui bisogna intendersi sul termine, che ha un’accezione negativa: se significa mettere in discussione verità assodate alla luce di nuovi documenti, rispondo che uno storico non può che essere revisionista ».
I suoi documentari danno un giudizio molto severo su Obama.
«Sta ripercorrendo le stesse strade di Wilson, Truman e Johnson. Ha promesso riforme e trasparenza e non abbiamo né l’una né l’altra cosa, e le spese militari rappresentano più di un terzo del budget dello stato. Per diventare presidente ha ricevuto troppi finanziamenti da Wall Street, e ora la sua presidenza è un tradimento rispetto alle promesse fatte ai milioni di giovani che hanno creduto in lui. Quello che sta facendo va ben oltre i compromessi della politica».