Enrico Franceschini, la Repubblica 8/12/2013, 8 dicembre 2013
Per fuggire dalla Terra si può andare sotto la terra, sopra la terra oppure dove la terra non c’è: nell’acqua
Per fuggire dalla Terra si può andare sotto la terra, sopra la terra oppure dove la terra non c’è: nell’acqua. Per la precisione, sull’acqua. Sulla tenue superficie del mondo liquido in cui è nata la vita, prima che emergessero i continenti, e in cui la vita potrebbe sopravvivere quando i continenti saranno stati sommersi o resi altrimenti inabitabili all’uomo. L’idea di una comunità galleggiante non è nuova: venne per primo a Noè, perlomeno secondo la Bibbia. Negli ultimi tempi tuttavia si è arricchita di sempre più progetti che sembrano fantascientifici, ma che purtroppo rischiano di diventare scientifici più presto di quanto crediamo. Uno di questi è Freedom Ship, che però non è una nave vera e propria bensì una città sull’acqua, lunga più di un chilometro, alta come un grattacielo di venticinque piani, dotata di scuole, di un ospedale di prima qualità, di negozi, centri commerciali, alberghi, ristoranti, di un casinò, di banche, uffici, di un porto con lungomare, perfino di un aeroporto, oltre che di camere o meglio appartamenti per ospitare 50mila “passeggeri” o meglio residenti e altre 20mila membri d’equipaggio o meglio di lavoratori e dipendenti. «Siamo vicini a ottenere i finanziamenti per un miliardo di dollari, la somma necessaria a cominciare i lavori», dice Roger M. Gooch, l’imprenditore americano che ha lanciato l’iniziativa. Di miliardi poi ce ne vorrebbero altri cinque per completare l’impresa. Ma chi vuole prenotare un posto a bordo può già farlo: le unità immobiliari costano da 200mila a due milioni e mezzo di dollari, per casette da 40 a 330 metri quadri di grandezza, anche se nessuno può dire con certezza quando sarà possibile traslocarci dentro. Nessuno può dire con certezza nemmeno quando potrà essercene bisogno. Di certo c’è che da un po’ di tempo si moltiplicano le ipotesi sulla necessità per l’Uomo di andare a vivere da un’altra parte. I think tank più autorevoli pubblicano studi sui pericoli che minacciano il pianeta. I film catastrofisti non sanno più cosa inventare per dare un senso alle nostre paure: effetto serra, collisione con un asteroide, guerra termonucleare, fame, sete, esaurimento delle risorse energetiche, sovrappopolazione. La “fuga dalla terra” non appartiene più alle fantasie dei romanzi di Jules Verne, è diventata una costante dei media: circolano scenari di trasferimento di massa su Marte, su pianeti di un altro sistema solare che siano più simili al nostro, di ricreare un mondo ospitale sotto la crosta terrestre o sul fondo degli oceani. Quanto alle navicittà, prima risposta all’eventuale innalzamento dei mari provocato dallo scioglimento dei ghiacci e dunque dal riscaldamento climatico, nel momento in cui le acque avranno sommerso le città sulla Terra, ce ne sono in pista più di una, la Eoseas, la Lilypad, la Princess Kaguya, sebbene ancora lontane dall’uscire dai cantieri navali. La Freedom Ship vi è forse più vicina: come minimo il progetto sembra già pronto in tutti o quasi i suoi dettagli. Che cos’è esattamente? Il suo inventore Roger Gooch comincia spiegando che cosa “non è”. Non è una grossa nave: «È il tentativo di produrre opportunità per un nuovo stile di vita, la prima comunità mobile al mondo. Ha le dimensioni minime per risultare autosufficiente e per fare venire il desiderio di viverci sopra». Non è un nuovo paese: «Si atterrà al codice marittimo internazionale e alle leggi dei paesi nelle cui acque si trova». Non è un trucco per non pagare le tasse: o almeno non è uno degli obiettivi ufficiali del progetto, i cittadini di certi paesi avrebbero gli stessi vantaggi di cui godono quando risiedono in un altro paese. Non verrà costruita in un cantiere navale: «Perché non è uno scafo. È una specie di enorme chiatta con un grattacielo piantato sopra». E non farà autentiche crociere, pur circumnavigando il pianeta ogni anno: «È un posto per vivere, lavorare, andare in pensione, o anche fare le vacanze». E se uno dopo un po’ si stanca, può prendere un aereo (fino a un massimo di 40 posti) sul tetto-aeroporto e volare sulla terraferma (sempre che esista ancora una terraferma su cui volare). Nell’immediato, cioè fino a quando ci saranno terre a cui approdare, la Freedom Ship passerebbe il 70 per cento del suo tempo all’ancora. Il suo tragitto prevede che lasci la costa orientale degli Stati Uniti in giugno, trascorra i mesi estivi e l’autunno in Europa, partendo dalla Scandinavia per scendere giù fino al Mediterraneo, a Natale sarebbe davanti alle coste dell’Africa settentrionale, in gennaio raggiungerebbe il Sud Africa, da lì rotta verso l’Australia, poi l’Asia, quindi attraverserà il Pacifico, raggiungerà la costa occidentale degli Usa, scenderà fino alla Terra del Fuoco lungo il Sudamerica e infine ritornerà al punto di partenza, per ricominciare daccapo. La città-galleggiante userebbe pannelli solari e onde marine come fonti di energia, sarebbe dotata di aria condizionata e riscaldamento, di sistema anti-incendio e sistema di riciclaggio, avrebbe i più moderni ritrovati di sicurezza e di alta tecnologia. La brutta notizia è che, nelle immagini ricreate al computer dai suoi costruttori, somiglia a un orrendo parcheggio con aerei ed elicotteri sul tetto. La bella notizia è che, se un giorno non avremo alternative, una flotta di navi-città come la Freedom Ship potrebbero salvarci dall’estinzione o almeno dall’annegamento. In attesa di scoprire come arrivare su una Terra 2.0 in un’altra galassia, consideriamola come una soluzione provvisoria. Una scialuppa di salvataggio non deve essere anche bella, per di più se devi caricarci sopra l’umanità intera.