Fiorenza Sarzanini, Corriere della Sera 8/12/2013, 8 dicembre 2013
ROMA —
Quando ha sparato contro i carabinieri davanti a Palazzo Chigi, Luigi Preiti era lucido, perfettamente padrone di sé. Ma soprattutto non aveva alcuna intenzione di suicidarsi dopo l’attacco, come invece ha cercato di far credere. La perizia psichiatrica sulle condizioni dell’uomo entrato in azione in piazza Colonna il 28 aprile scorso, giorno di insediamento del governo guidato da Enrico Letta, smonta alcune circostanze emerse sino ad ora. E apre scenari nuovi rispetto a quanto accaduto prima che arrivasse a Roma dalla Calabria. Perché svela che l’attentatore non viveva affatto isolato, anzi partecipava a gare in un circolo di biliardo e «seratine» con svariate persone. E proprio durante quegli incontri potrebbe quindi aver pianificato l’agguato.
Un «eroe vendicatore»
La relazione firmata dal professor Pietro Rocchini ha conclusioni lapidarie: «Al momento del fatto l’imputato presentava un modesto disturbo depressivo in un soggetto portatore di un disturbo di personalità. Tali componenti non avevano rilevanza psichiatrica forense e dunque per le loro caratteristiche e intensità non incidevano in modo significativo sulla sua capacità di intendere e di volere». L’accertamento medico era stato disposto dal giudice per verificare le condizioni dell’uomo, ma anche la possibilità di processarlo.
Il perito esclude ostacoli allo svolgimento del giudizio. E infatti scrive: «Preiti mostra caratteristiche di personalità con larvata costante conflittualità nei confronti dell’ambiente (soprattutto “classe politica”, “Stato” e i suoi rappresentanti) e di un esame della realtà molto immaturo e superficiale. Anziché un autentico desiderio di morte si rileva una “aggressiva ricerca” di riconoscimento pubblico. Gli eventi oggetto di processo, quindi, non sono sembrati condizionati da una qualche patologia che abbia valore sul piano psichiatrico forense, capace cioè di limitare la capacità di intendere e di volere, ma da un fortissimo senso di rivalsa nei confronti “delle Istituzioni”, “dei politici” , dei loro rappresentanti, con l’immaturo desiderio di trasformarsi in una sorta di eroe vendicatore, pubblicamente riconosciuto».
«Seratine» e cocaina
Non è vero, almeno a leggere l’esito degli accertamenti, che Preiti vivesse in una condizione di disperazione. Secondo Rocchini, l’attentatore presenta «un’affettività immatura ed egocentrica, con ridottissima capacità empatica in cui le vittime nel suo racconto sono apparse poco più che soggetti su cui scaricare una cinica aggressività, così come la tendenza all’impulsività manifestata quasi come forma di abreazione cioè di scarica emozionale liberatoria per delusioni e insuccessi». Ma non evidenzia «alterazioni formali del pensiero, né emergono contenuti di tipo delirante».
Non a caso viene citata l’ammissione dell’imputato: «La cocaina mi faceva parlare, stare bene, pensavo a divertirmi per partecipare al meglio alle mie “seratine”». Secondo Rocchini «tale abuso non sembra neanche essere entrato nel processo mentale che ha determinato la decisione di Preiti, lui stesso ha dichiarato che “la decisione di venire a Roma l’avevo presa prima di prendere la cocaina”. Il soggetto non ha mai accusato rallentamenti sul piano motorio e ideativo, tristezza vitale, aridità affettiva anzi al contrario si è mostrato capace di porre in essere una sua precisa “eclatante” progettualità, costruendola con cura. Pur se in condizioni di difficoltà e frustrazione, egli ha sempre mantenuto dall’arrivo in Calabria un buon funzionamento sociale (breve relazione con una donna del luogo, frequentazione pressoché quotidiana di un circolo di biliardo con partecipazione a una gara, costanti “seratine” con gli amici fino a poco prima della partenza per Roma) e lavorativo (chiaramente limitato dalle ridotte possibilità locali, non dalla mancanza di volontà o energia)».
Colloqui e lettere
Il perito ritiene che le lettere inviate al brigadiere Giuseppe Giangrande per chiedere perdono, fossero «strumentali» a ottenere benefici in carcere e nel processo. Evidenzia infatti che «Preiti ha ripetutamente parlato dei suoi sensi di colpa per quanto commesso, ma sempre senza mostrare quell’elaborazione depressiva che ne è la naturale conseguenza e, pur con una certa stereotipata teatralizzazione, senza un’autentica partecipazione emotiva. L’aver scritto alle vittime dichiarando di “non avercela con i carabinieri” colpiti, sembra invece dare a tutto questo una diversa valorizzazione: la volontà di conquistare e mantenere il centro del palcoscenico». E ancora: «La spinta suicidaria da lui riferita sembra essersi fermata a livello di pensiero senza alcun reale tentativo di messa in pratica».
Secondo il professore l’assenza di pentimento è provata dalle condizioni attuali dell’uomo. In carcere studia per prendere il diploma di terza media e imparare a usare il computer. Aggiunge Rocchini: «Il 10 maggio in assenza di manifestazioni psicopatologiche dichiarava di essere “contento per il colloquio avuto con i familiari” in seguito al quale si sentirebbe “ottimista” riguardo al futuro». Ha smesso di prendere i farmaci antidepressivi, solo un blando medicinale per dormire.
Fiorenza Sarzanini