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 2013  dicembre 07 Sabato calendario

Mancano solo 3 centesimi alla fine dell’era Pd a Siena Probabilmente è l’ultimo miglio prima dei titoli di coda

Mancano solo 3 centesimi alla fine dell’era Pd a Siena Probabilmente è l’ultimo miglio prima dei titoli di coda. Lo spazio (ristretto) che separa la Fondazione Monte Paschi dall’addio alla banca Mps vale (solo) 3,5 centesimi di euro. Il titolo di Rocca Salimbeni è in caduta libera: ieri era a 0,163 euro e a 0,128 scatta una tagliola che fa uscire la Fondazione dall’azionariato. Che sarà costretta a cedere tutto il suo pacchetto di azioni (il 33,5%) del Monte alle banche creditrici. A quel punto il Partito democratico, che attraverso comune e provincia controlla la Fondazione, si allontanerebbe definitivamente dall’istituto di credito presieduto da Alessandro Profumo. Il passaggio di mano sarebbe il frutto dell’escussione del pegno. Una clausola, appunto, inserita nei contratti di finanziamento a garanzia delle banche che hanno erogato all’ente presieduto da Antonella Mansi 350 milioni di euro. Sul titolo, che ieri ha perso il 2,98% scendendo dunque a 0,163 euro, si è abbattuta la scure di Goldman Sachs che ha abbassato il «prezzo obiettivo» proprio a 0,12 euro. Nelle ultime due settimane Rocca Salimbeni ha ceduto circa il 25% e nei giorni scorsi gli analisti di Exane avevano portato il titolo a 0,11 euro. Passare da 0,163 a 0,128 equivale, in termini percentuali, a un ulteriore calo del 21,5% secco. E se a Piazza Affari Mps non inverte la rotta può raggiungere quello spiacevole «traguardo» in meno di 15 giorni. Previsioni che si avvicinano al gioco d’azzardo. Ma questi calcoli venivano fatti anche ieri fra esperti del settore, alcuni convinti che è partito il count down. Tuttavia, la Fondazione non ci sta ad alzare bandiera bianca e a consegnare il controllo di Mps al pool di 13 banche creditrici capitanate da Jp Morgan (tra cui le italiane Bnl Bnp Paribas, Mediobanca, Unicredit e IntesaSanpaolo). Nei giorni scorsi si sono accavallate indiscrezioni di manovre sul titolo da parte dell’ente: qualcuno ha sostenuto che fossero in corso acquisti finalizzati a sostenere le quotazioni e a incrementare temporaneamente la presenza nel capitale; altri hanno ipotizzato, al contrario, una vendita parziale delle azioni. Palazzo Sansedoni ha smentito cessioni, ma non ha evitato il tracollo delle quotazioni in Borsa. Al quartier generale della banca non c’è tensione. Ieri l’ad Fabrizio Viola ha fatto visita ad «alcuni amici» nella sede milanese di Generali. L’incontro ha destato una certa curiosità fra analisti e investitori, ma è stato definito «di normale routine» da entrambe le società. Il Leone di Trieste ha sempre detto di voler concentrarsi sul core business, cioè le polizze. Eppure non è da escludere, per lo meno in linea teorica, una partecipazione della prima compagnia assicurativa italiana all’aumento di capitale del Monte da 3 miliardi di euro in agenda per il 2014. Le risorse finanziarie potrebbero arrivare da una parziale riduzione dell’esposizione in Bot e Btp. Oggi Generali ha 55 miliardi in titoli di Stato italiani: una montagna di quattrini giudicata troppo elevata dalle agenzie di rating, in particolare Standard& Poor’s, che potrebbe essere abbassata lasciando in mano al top management della compagnia fondi da investire altrove. A Siena? Forse. Frattanto, sull’aumento di capitale è in corso un braccio di ferro tra Fondazione e banca. Profumo ha detto che vuole bruciare le tappe e chiudere l’operazione entro marzo. Prospettiva che non piace all’ente. Che ieri ha chiesto di posticipare l’aumento di capitale al secondo trimestre perché «l’attuale e contingente situazione finanziaria dell’ente, e la sua conseguente incapacità di esercitare, in tutto o in parte, i diritti di opzione rivenienti dalla partecipazione detenuta non potrebbero che rendere più complessa e rischiosa l’intera operazione così come configurata dal cda della banca». Tradotto: dateci tempo per mettere insieme un po’ di soldi, altrimenti siamo fuori dai giochi subito. Che poi è lo scenario preferito da Profumo e Viola, che non lo possono dichiarare e comunque non si scomporrano di fronte al tentativo di diktat della Fondazione.