La Stampa 7/12/2013, 7 dicembre 2013
RISERVE AUREE
Assistiamo continuamente a dibattiti fra economisti sui modi più efficaci per uscire dalla attuale (precaria) situazione economica nazionale. Dal governo vengono proposte azioni per recuperare con molta difficoltà (e spesso con molta incertezza) alcune decine di milioni di euro.
Ben vengano, purché arrivino veramente e non solo a livello ipotetico. Si tratta talvolta di introiti strutturali, generalmente pochi e spesso fonte di duri scontri fra categorie sociali e gruppi politici aventi interessi contrastanti.
Si parla da molto tempo di iniziative una tantum come la cessione di immobili di proprietà demaniale o vendita di aziende a partecipazione statale, tutte iniziative lodevoli, ma realizzabili con tempistiche lunghe e incerte.
Da tutti questi esperti non ho sentito però nessuno esprimersi circa la vendita di parte delle nostre riserve auree.
Mi risulta che l’Italia disponga di una delle riserve più cospicue al mondo (circa 80 milioni di once, equivalenti perciò a circa 80 miliardi di euro, considerando il valore attuale di circa 1000 euro all’oncia).
Ipotizzando di mantenere una oncia pro-capite per ogni italiano e di vendere le restanti (gradualmente, per non inflazionare il mercato e non provocarne così una caduta di valore) rimarrebbe sempre una consistente riserva aurea di 60 milioni di once.
Con l’oro venduto si potrebbe così realizzare un «tesoretto» di circa 20 miliardi di euro (che corrispondono a quasi due finanziarie...), tale da tamponare le nostre esigenze immediate e permetterci di risollevare la testa in attesa delle sospirate cartolarizzazioni di cui sopra e dell’avvento di tempi migliori per la nostra economia.
Mi chiedo se mi sono perso qualcosa, è solo un mio calcolo errato o potrebbe essere una ipotesi da perseguire?
Giuseppe Manfredi, 72 anni, dirigente industriale in pensione, Caluso (TO)