Cesare Maffi, ItaliaOggi 6/12/2013, 6 dicembre 2013
CI SONO MOLTO PORCELLI IN GIRO
Spazzata via la legge che regola l’elezione della Camera e del Senato, si vedranno presto le conseguenze. Attenzione: vi possono essere, e anzi si può facilmente prevedere che vi saranno, sviluppi rilevanti per le elezioni regionali e per quelle amministrative.
La Corte costituzionale ha dichiarato ammissibile quello che, in sostanza, era un diretto interpello dei giudici. Vedremo dalle motivazioni il ragionamento seguito, all’evidenza legato all’impossibilità, altrimenti, di ottenere una pronuncia della Corte sul sistema elettorale politico. Figuriamoci quel che ora potrebbe succedere con i sistemi elettorali regionali (diversi secondo gli statuti, in particolare nelle regioni con autonomia speciale) e comunale, ove ben più immediata è la possibilità di ottenere una pronuncia d’incostituzionalità. Ci sarà una corsa di procedimenti aperti da primi non eletti, esponenti di liste e insomma insoddisfatti di un risultato elettorale, per ottenere che la Corte dichiari incostituzionale qualche fondamentale aspetto di un sistema elettorale, fornendo così il via libera al tracollo dell’intera struttura normativa e aprendo conseguenze imprevedibili sulla composizione di consigli regionali e comunali eletti applicando disposizioni bollate d’incostituzionalità.
Di piccoli porcelli abbonda, infatti, la legislazione. E quindi di norme che prevedono un premio di maggioranza senza soglia minima ovvero che stabiliscono liste bloccate, senza consentire l’espressione di una preferenza. Sono i due aspetti che il comunicato stampa di palazzo della Consulta ha reso evidenti.
Molte regioni prevedono listini bloccati. In Lombardia fu la strada che consentì a Nicole Minetti di diventare consigliera regionale senza fatica alcuna: le bastò essere inserita da Roberto Formigoni nella lista regionale bloccata.
La Corte costituzionale potrebbe, nelle motivazioni, indicare che il ricorso alle preferenze non sarebbe costituzionalmente dovuto nel caso di liste brevi. Sarebbe però impossibile che un listino di dieci consiglieri (per esempio, nella regione Lazio) fosse valutato costituzionale. Si potrebbe quindi prevedere un affossamento di tutte le disposizioni regionali che prevedono liste bloccate. Una curiosità: non si tratta solo di listini regionali, posto che la Toscana inibisce il ricorso alle preferenze altresì per le liste provinciali (insomma, l’intero consiglio regionale è eletto su liste bloccate).
Se si passa ai premi di maggioranza, sono presenti quasi ovunque, senza soglie minime. Esplicitamente diverse leggi regionali stabiliscono premi differenti, secondo che il presidente regionale sia eletto con più o meno del 40% dei voti. Il che significa che a un candidato presidente basta arrivare primo, perfino soltanto col 30 o il 25% dei voti, per riportare la maggioranza assoluta dei seggi. Il divario è evidente. È esattamente il fenomeno che ha suscitato un generale sdegno quando il centro-sinistra ha portato a casa 340 deputati stando sotto il 30% dei voti validi. Difficile pensare che tutti questi sistemi elettorali regionali possano passare indenni un giudizio costituzionale.
Lasciando da parte le elezioni provinciali (non sono, oggi, previste nuove elezioni dirette di presidenti e consigli, sennò le riserve sull’assenza di soglie per il premio di maggioranza varrebbero pure in questo caso), ci si può infine fermare sulle elezioni di sindaci e consiglieri nei comuni sotto i 15mila abitanti, nelle regioni a statuto ordinario (ma anche in quelle a statuto speciale possono avanzarsi rilievi simili). In questi casi il primo arrivato viene eletto sindaco, trascinando con sé ben i due terzi dei consiglieri. Quindi, di nuovo, basta il 30 o il 25% dei voti per acquisire un’ampia maggioranza qualificata di seggi. E si tratta di oltre settemila comuni.
Morale: dopo aver provveduto a riformare la legge elettorale politica, le Camere dovranno preoccuparsi della legge elettorale amministrativa. Le regioni, a loro volta, dovranno trarre le conseguenze della potenziale ricaduta dell’incostituzionalità porcellesca sulle rispettive norme elettorali.