Riccardo Ruggeri, ItaliaOggi 6/12/2013, 6 dicembre 2013
JOTTI NON FU RICONOSCIUTA COME SPOSA DALL’OTTUSA BUROCRAZIA PCI. LO FU SOLO COME VEDOVA. UN CLASSICO, TIPICO DELLE SETTE RELIGIOSE
Mai avrei pensato di emozionarmi leggendo delle lettere di Palmiro Togliatti. Nella mia famiglia il suo nome era associato a quello di Stalin, così come quello di Starace a Mussolini e quello di Goebbels a Hitler, anche se il primo sarà tra i vincitori, gli altri due fra gli sconfitti. Tre ideologie criminali trattate diversamente dalla storia. Eppure, appena ho letto le lettere che si era scambiato con Nilde Iotti l’ho visto sotto un’altra luce, quella luminosa dell’innamorato. Come dice Pessoa, le lettere d’amore devono essere ridicole, e anche queste lo sono, come lo sono quelle che ciascuno di noi ha scritto e ricevuto. Le lettere d’amore, letterariamente, non valgono nulla, tutto è già stato detto, pochissime sono le parole utili per scriverne una, tutti i possibili accoppiamenti fra queste sono già avvenuti infinite volte. Ai miei nipoti, quando avranno l’età ne suggerirò una: «ti amo, un bacio», quattro parole in minuscolo e una virgola, e c’è tutto, c’è l’amore e le sue ancelle, l’affetto e il sesso.
Lui ha 53 anni (una moglie e un figlio malato), lei 26, sono due animali politici, lei è tutta proiettata al futuro, lui è un sopravvissuto, che, a 50 anni, ha il primo grande compito della sua vita. È riuscito a non finire in una delle tante purghe praticate da quel criminale di Stalin, spietato anche verso i suoi fedeli collaboratori (silenti), è rientrato in Italia sano e salvo, segnato nella sua coscienza per gli atti che ha dovuto compiere o peggio ancora che non ha compiuto, ha come missione fare un grande partito, pur nei vincoli di Yalta. Lo farà alla grande.
D’improvviso si innamora. Ha la «seconda» età giusta per innamorarsi perdutamente, i cinquant’anni, e lo fa con questa ragazza che ha studiato dalle suore e si è laureata in lettere alla Cattolica, una donna «di terra», di quelle terre reggiane e modenesi che paiono concepite apposta per produrre donne straordinarie, e Nilde Iotti di certo lo è. Dalle sue lettere lo si evince, non è un’amante gretta, ma non è neppure una sprovveduta, pur non essendo una carrierista. Togliatti è talmente innamorato di lei che prova a ricorrere a quello che allora noi liberali chiamavamo ironicamente «Sacra Rota Comunista».
I gerarchi del Partito si trasferivano per almeno un anno a San Marino (come faranno anni dopo i riccastri a Montecarlo), dove c’era il divorzio. Terracini e Longo lo stavano tentando, nel nome della doppia morale comunista, ma alcuni accenni di un possibile clamore mediatico sconsigliano Togliatti dal farlo. Lui è il Migliore, non può. Il giornalismo finto etico delle mitiche 10 domande non era ancora stato inventato, i magistrati dell’epoca si occupavano di reati veri, non si faceva politica guardando dal buco della serratura, ma dobbiamo ammetterlo il mondo è pur sempre lo stesso, seppur in peggioramento.
Le lettere di lei contengono interessanti squarci sulla burocrazia del partito, emergono le umiliazioni che deve subire da oscuri e settari funzionari centrali e periferici, sembra di rivedere i comportamenti del PD di oggi, mentre quelle di lui sono tutte focalizzate su questo sentimento che lo ha travolto. Mi sono immedesimato in loro, ho immaginato la prima volta che hanno potuto amarsi nella mansarda di Botteghe Oscure, che, alla fine, il Partito ha messo svogliatamente a loro disposizione. Deve essere stato meraviglioso: amore vero, abbandono sessuale totale, purezza ideologica si univano, mentre dal tetto filtrava di certo un fresco ponentino che scompigliava i loro capelli umidi.
Entrambi hanno una bella calligrafia, come l’avevano tutte le persone colte dell’epoca, i loro nomi, Nilde e Palmiro, sono nomi suggestivi, antichi, come antiche sono alcune frasi delle loro lettere, lui avvolge, addirittura con una citazione latina, il pudore del suo amore «Nec tecum vivere possum nec sine te», non posso vivere né con te, né senza te. La cosa bella è che, insieme, furono felici, malgrado le miserie legate alla doppia morale del Partito-Setta, che tornò umano solo al funerale di lui, quando concesse a Nilde Iotti di seguire in prima fila il feretro. Come sposa non fu riconosciuta, lo fu come vedova. Un classico, tipico delle sette religiose.
di Riccardo Ruggeri editore@grantorinolibri.it @editoreruggeri