Cristiana Pulcinelli, l’Unità 6/12/2013, 6 dicembre 2013
ANCHE GLI ANIMALI HANNO UNA MORALE
[Frans De Waal]
FRANS DE WAAL HA PASSATO UNA VITA A STUDIARE LE GRANDI SCIMMIE. NEL SUO NUOVO LIBRO («IL BONOBO E L’ATEO», RAFFAELLO CORTINA EDITORE, PP. 322, EURO 28) si addentra però su un terreno considerato da sempre regno incontrastato dell’essere umano: la moralità. Il suo è quindi un punto di vista interessante perché nuovo, lontano dalle dispute filosofiche o teologiche. L’etica, sostiene de Waal, è nata dal basso, si è evoluta nel mondo animale e solo in un secondo momento la religione è intervenuta per rafforzare alcuni comportamenti.
La morale sembrava rimasta una caratteristica esclusivamente umana. Non è così?
«In quasi tutti i campi (cultura, politica, linguaggio, morale) gli esseri umani sono speciali, ma non unici. Quando analizziamo le capacità che sono alla base di ognuna di queste categorie, vediamo infatti alcune somiglianze con le altre specie. Prendiamo la politica: ha a che fare con il potere e comporta il darsi da fare perché i propri sostenitori siano felici. Ebbene, gli scimpanzé sono assetati di potere e condividono più cibo con i loro partner che con i rivali. Lo stesso vale per la morale. Non dico che gli scimpanzé o i bonobo siano esseri morali, ma hanno tutti gli ingredienti di base senza i quali noi umani non potremmo avere una morale: si prendono cura l’uno dell’altro, seguono le regole sociali, reagiscono alle ingiustizie».
La morale quindi scaturisce dall’empatia. Ma che cos’è l’empatia e quali animali la provano?
«L’empatia è l’essere sensibili alle situazioni e alle emozioni degli altri ed è presente in tutti i mammiferi. Probabilmente deriva dalle cure materne: che io sia una femmina di topo o di elefante devo prestare attenzione al fatto che i miei piccoli abbiano fame, freddo o siano in pericolo e devo reagire se si verifica una di queste condizioni. Questa origine spiegherebbe molte cose: il fatto che le donne hanno un livello di empatia più alto degli uomini, ad esempio, o perché l’ossitocina, un ormone della maternità, ha un effetto sull’empatia».
Qual è allora la differenza tra l’empatia di uno scimpanzé e quella umana?
«Non possiamo sapere cosa sentono gli animali. Quello che possiamo fare però è misurare come reagiscono in alcune situazioni. Gli scimpanzé e i bonobo, ad esempio, baciano e abbracciano quegli individui che soffrono perché hanno perso una battaglia o perché hanno paura di un serpente. Cercano di calmarli con quello che noi chiamiamo "comportamento consolatorio". Lo stesso metro lo usiamo per misurare l’empatia nei bambini. Chiediamo a un membro della famiglia di piangere e vediamo come reagisce il bambino: anche lui consola la persona afflitta carezzandola e toccandola. Se due specie così vicine reagiscono nello stesso modo in circostanze simili, dobbiamo assumere che la loro psicologia e la loro esperienza sono simili».
Tra le specie non umane esiste qualcosa di paragonabile a quello che Adam Smith chiamava lo "spettatore imparziale"?
«Lo spettatore imparziale di Smith si impegna ad approvare o disapprovare un comportamento anche se quest’ultimo non lo coinvolge direttamente. La morale umana quindi non riguarda solo me e te o le persone che conosciamo, ma si applica a chiunque nello stesso modo. Questo richiede un certo livello di astrazione, delle regole generalizzate. In questo senso la morale umana è speciale: noi discutiamo i principi del nostro sistema etico e cerchiamo di giustificarli, mentre le scimmie antropomorfe non lo fanno».
Si è sostenuto a lungo che l’essere umano è nel suo profondo egoista e cattivo e che nasconde questa sua natura sotto una vernice di gentilezza grazie all’intervento della ragione. Sembra che questa teoria si sia dimostrata falsa, perché?
«Questa visione della natura umana divenne popolare intorno agli anni Settanta del secolo scorso con i libri di Richard Dawkins e Robert Wright. Si trattava di un messaggio antidarwiniano perché lo stesso Darwin credeva fortemente che ci fosse un continuum tra l’istinto sociale degli animali e la morale umana. La "teoria della vernice" per fortuna ha perso la sua attrattiva dopo le scoperte fatte da economisti, antropologi, psicologi e primatologi secondo cui noi abbiamo una naturale tendenza al prendersi cura, all’empatia e alla cooperazione. La scoperta dei neuroni specchio, avvenuta in Italia, ha mostrato che noi siamo fatti per relazionarci agli altri. E che, se ci interessiamo a loro, non è solo per il nostro interesse».
Quale ruolo svolge la religione nel modellare la nostra morale?
«La cooperazione e l’armonia sociale sono state sempre un vantaggio per la nostra specie, molto prima che nascessero le moderne religioni, ovvero circa duemila anni fa. Sono sicuro che i nostri antenati si sono presi cura l’uno dell’altro e si sono interessati della correttezza delle azioni per un milione di anni o forse più. Le cose cambiarono con la rivoluzione dell’agricoltura, circa 12.000 anni fa. Noi uomini cominciammo allora ad espandere le nostre società per includervi migliaia, milioni di persone. Le regole della reciprocità e dell’empatia e il monitoraggio del contributo di ognuno non funzionavano più. Diventava troppo facile imbrogliare. Un approccio dall’alto in basso divenne necessario per rinforzare la cooperazione, aiutato magari da una forza soprannaturale onnisciente che teneva d’occhio tutti e che prometteva il paradiso o l’inferno a seconda di quanto ti comportavi bene. In quest’ottica la religione odierna non è alla radice del senso morale, ma nasce come un modo per rinforzare il sistema. La grande questione è: quanto è essenziale questa aggiunta per il buon funzionamento di una società? E, se anche lo era in passato, lo è ancora?»
Un punto centrale del suo libro mi sembra il rifiuto di ogni dogmatismo, sia ateo sia religioso. Quali sono i danni di un atteggiamento dogmatico?
«Io non divido il mondo in credenti e non credenti, ma piuttosto in dogmatici e pensatori riflessivi. Ho poca pazienza con i primi, siano credenti o non credenti. Con la loro pretesa di essere razionali, il loro disprezzo per l’intreccio storico fra scienza e religione e la loro disponibilità a inimicarsi anche i credenti moderati, i neo-atei finiscono per cadere nella parte dogmatica dello spettro. La loro posizione è stata particolarmente dannosa al dibattito sull’evoluzione. Chi ascolterà i biologi che sostengono quanto sia ben documentata l’evoluzione se la prima cosa che esce dalle loro bocche è: "sei un idiota"? Per di più, l’ateismo è una posizione vuota. Tutto quello che fa è sostenere che Dio non esiste, mentre lascia senza risposte domande come: cosa fare con la nostra vita, dove trovarne il significato, perché siamo qui e come metterci in connessione con la società umana nel suo insieme. Fortunatamente la gente si sta interessando ad argomenti più sostanziali. Il mio libro affronta forse il più importante: possiamo avere una morale senza la religione e dove troveremo la forza e l’ispirazione per condurre una vita buona? Se ci pensiamo, l’Umanesimo non ha mai speso molta energia per combattere la religione o negare Dio, ma invece si è focalizzato su aspetti positivi, chiedendosi come forgiare una buona società utilizzando le naturali potenzialità umane. Il mio libro cerca di stabilire un legame con l’Umanesimo e in particolare con la sua tradizione olandese, fino a Erasmo, Hieronymus Bosch e Spinoza».