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 2013  dicembre 06 Venerdì calendario

VISIONI DI STUPRO


CON SCELTA OCCHIUTA IN TEMPI DI RIFLESSIONE SUL CORPO DELLE DONNE E SULLA CRESCENTE SENSIBILITÀ NEI CONFRONTI DELLA PIÙ CRUDELE DELLE VIOLENZE, IL FEMMINICIDIO. Valter Malosti ha scelto di portare a teatro Lo stupro di Lucrezia. Non a caso, nella replica di ieri sera, era previsto anche un dibattito condotto da Concita De Gregorio. Ma la scelta del regista, nonostante l’attualità, nasce anche e soprattutto all’interno di un percorso shakesperiano già intrapreso con la messa in scena di Venere e Adone, poemetto gemello e precedente a questo, e nell’intento, in ambedue, di far emergere giovani attori.
Per Lo stupro di Lucrezia (in tappa romana al Vascello fino all’8) i prescelti sono Alice Spisa e Jacopo Squizzato, chiamati a incarnare (letteralmente, come si vedrà) i protagonisti del poemetto: lei, Lucrezia, bella e virtuosa consorte di Collatino, capo dell’esercito di Tarquinio il superbo, e lui, Sestio, figlio dell’ultimo re di Roma, invasato da un desiderio selvaggio nei confronti di colei che sente descrivere come la più leggiadra e casta tra le mogli. È così che, lasciando in fretta l’accampamento e raggiungendo di furia la casa di lei, si fa accogliere come ospite regale e poi la costringe nella notte a soggiacere a brutali violenze.
La capacità visionaria dei versi di Shakespeare sa penetrare con incredibile lucidità ambedue le psicologie, quella maschile dominata da incontrollabili pulsioni, pronta alla conquista rapinosa e devastante dell’oggetto-donna, pur consapevole in modo remoto che sarà causa di rovina per entrambi. Ma anche – acutamente – quella di lei, straziata dallo stupro nello spirito ancora più brutalmente che nel corpo. Intenta a rovellarsi con dolore su quella insanabile ferita interna che la porterà al suicidio (sensazione, ahimè, tuttora così attuale, come dimostrano cronache contemporanee). La traduzione in endecasillabi di Gilberto Sacerdoti rende con sensibile aderenza tutti i passaggi della storia sia fisici che, per così dire, metafisici. Ed è proprio per questo che lascia un po’ perplessi la scelta di Malosti di spingere in primo piano i corpi ed esperli in una nudità totale, laddove Shakespeare fa intendere chiaramente che il desiderio è suscitato da «un orecchio macchiato dall’ascolto». Non gli occhi, dunque, ma il sentire il racconto provoca la pulsione, sono le parole che accendono gli animi e provocano le azioni. Nell’allestimento del regista, invece, i versi si trasformano in una partitura per uno stupro a vista, rudemente esplicito negli atti, con una ricercata verosimiglianza nel fisico – bianca, morbida e tornita Alice Spisa, intagliato e virilmente macho Jacopo Squizzato.
Malosti stesso partecipa all’azione sul retro, narratore occulto a tavolino e manovratore di pupazzi di carne sul proscenio. Coraggiosamente i giovani protagonisti si danno in pasto agli occhi del pubblico, tra strette voraci di lui e disperati contorcimenti di lei in un ring rosso sangue, delimitato agli angoli da un trono, uno sgabello e un misterioso frigorifero. La recitazione ne è in qualche modo intaccata, un po’ rigido Squizzato, con insistito tono querulo Spisa (monologante, del resto, in difficili posizioni ginecologiche). La sua potenzialità di attrice trova migliore respiro a dramma compiuto, una volta ricomposta e rivestita, mentre si prepara al mandato della vendetta da consegnare a marito e parenti. Ma nella scena finale si rappresenta anche una sua ideale e personale vendetta mentre taglia la gola a Sestio come Giuditta con Oloferne o una moderna vendicatrice di un thriller di Massimo Carlotto. Un riscatto perpetrato con tale decisione e nettezza da far intuire in Spisa un’interprete pronta a fiorire. E dopo questo battesimo di carne e sangue, vorremmo ben vedere...


Rossella Battisti
rbattisti@unita.it