Francesca Pierantozzi, Macro, il Messaggero 6/12/2013, 6 dicembre 2013
CAMUS, PAPÀ LIBERTARIO
[Catherine Camus]
L’INTERVISTA
PARIGI
«Non ricordo» dice spesso Catherine Camus, ma in realtà ricorda tutto. Non ricorda cosa successe quando suo padre vinse il premio Nobel per la Letteratura, né quando arrivarono alla casa di Lourmarin, in Provenza, la prima che Albert Camus poté comprare. Ma ricorda il suo senso dell’umorismo, la sua leggerezza, la solitudine terribile dopo aver scritto L’uomo in rivolta, che gli valse la messa al bando di Sartre e dell’intellighenzia, il suo sorriso attento, la forza, la bellezza. Da 33 anni, da quella casa di Lourmarin che era il suo rifugio, Catherine, oggi 68 enne, si occupa dell’opera del padre. «Non sono la guardiana di un tempio: papà non ne ha bisogno, sa difendersi da solo, basta leggerlo. Seguo solo due criteri: non autorizzo mai tagli nei testi teatrali e chiedo che si rispetti la sostanza del suo pensiero». Ha perfino autorizzato due rapper a usare le sue parole. Per il centenario della nascita, Catherine ha ricevuto tante richieste da tutto il mondo, anche dalla Buriazia. «Non sapevo nemmeno dove fosse - dice ridendo - poi ho scoperto una piccola repubblica della Federazione russa a più di 5000 chilometri da Mosca, sul lago Baikal. Hanno dedicato una giornata a Camus, è straordinario». Anche in Buriazia, ma non a Parigi, né a Marsiglia, capitale europea della cultura 2013: resta scomodo l’autore dello Straniero e della Peste. Scomodo lo fu da subito nell’Algeria natale - né con i coloni, né con gli algerini - scomodo fu per la sinistra, quando rifiutò che in nome dell’ideologia si potesse uccidere o togliere la libertà. Catherine ha appena pubblicato Le monde en partage, bellissimo libro su quello che fu il mondo di Albert Camus, un mondo che esiste ancora «di uomini e donne che condividono le stesse angosce, le stesse speranze».
Uomini e donne che continuano a scrivere a Camus.
«Ricevo centinaia di lettere, lettere sconvolgenti. Tanti mi scrivono di aver rinunciato al suicidio leggendo Camus. Tanti parlano di politica. Tanti vivono in regimi totalitari. Sono indiani, giapponesi, cinesi. La più giovane è una ragazzina di dodici anni».
Cosa ricorda del Nobel, nel 1957?
«Poco. Non mi fece nessun effetto. Ricordo solo che mio padre cominciò a ricevere tantissime lettere nella nostra casa in rue Madame. Soprattutto tante foto di donne. Me le mostrava e mi chiedeva: questa la teniamo? Ero io che decidevo chi doveva finire nel cestino. Che orgoglio...».
Quando morì in un incidente stradale nel ’60, lei e suo fratello Jean avevate 14 anni. Era stato un padre presente?
«A me sembra di essere stata tantissimo con lui, ma visti i suoi impegni, forse non l’ho visto così tanto. Era una forza in cammino. È stato un padre presente, attento, tenero e severo. Per lui era fondamentale il rispetto, il rispetto degli altri. Anche per questo, per esempio, voleva che fossimo educati a tavola. Ma poi ci lasciava del tutto liberi di pensare e soprattutto voleva che fossimo responsabili. Vi assicuro che per un bambino è più facile e sbrigativo prendersi una sberla, che essere responsabile. Non ci puniva mai».
Seguiva la vostra istruzione?
«Ci consigliava letture (soprattutto Alexandre Dumas) e ascoltava le nostre impressioni. Convinse anche mia madre a portarci due volte al cinema: Lo strano dramma del dottor Molyneux di Marcel Carné e A qualcuno piace caldo».
Perché Camus continua a essere un ousider?
«Perché era un libertario, e il potere non sa che farsene dei libertari, non li può usare. Sartre lo definì “un delinquentello delle strade di Algeri”. Papà era ed è irrecuperabile».
Diceva di aver imparato quello che sapeva di morale e doveri dal calcio. Fu un grande portiere del Racing Club di Algeri. E voi con il calcio lo avete celebrato.
«Sì, ha continuato ad amare il calcio, anche se smise di giocare a causa della tubercolosi. A Parigi e a Marsiglia non sono riusciti a organizzare niente per il suo centenario, noi invece abbiamo organizzato una bella partita in onore del primo portiere ad aver vinto il Nobel per la Letteratura: l’équipe Camus, composta da tutta la nostra famiglia, dalla mia nipotina di 8 anni al mio compagno - italiano - di 68, contro la Jeunesse Sportive Lourmarin. Abbiamo vinto. Papà sarebbe stato contento».
Francesca Pierantozzi