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 2013  dicembre 06 Venerdì calendario

COSTI ALTI E POCHI UTILI I MALI DEI BIG DEL CREDITO


Malate di scarsa redditività, appesantite da una struttura di costi superiore a quella di molti concorrenti europei, con un rapporto tra perdite e su crediti e ricavi più alto della media del Vecchio Continente. È questa l’analisi (impietosa) che R&S Mediobanca effettua sui due principali istituti di credito italiani all’interno del rapporto su «Le maggiori banche europee nel 1° semestre 2013». Il quadro del sistema bancario europeo, preso ai suoi massimi livelli, vede un utile aggregato da 36 miliardi, in crescita del 35,6% anche grazie a minori perdite sui crediti, in calo del 17,5%. Il roe sale di quasi due punti: dal 5,1% dell’anno prima al 6,9%. Intesa Sanpaolo e Unicredit, le due principali banche italiane, mostrano profitti in calo - rispettivamente del 66 e del 25% - e peccano di scarsa redditività. L’utile netto sui ricavi è fermo al 6,2% contro il 15,3% europeo. Il roe, il ritorno sul capitale proprio, è un terzo di quello medio europeo, al 2,3% dal precedente (nello stesso periodo del 2012) 4,4%, in una discesa che le accomuna nella tendenza agli istituti tedeschi (colpa di Commerzbank, in larga misura) e a quelli francesi. Le zavorre, secondo l’analisi di Mediobanca, sono sostanzialmente due. La struttura dei costi, che pur essendo simile a quella europea (64,4% il rapporto costi-ricavi, contro una media del 63,5%) ma che risulta superiore a quella mostrata dagli istituti inglesi (59,4%), olendesi (59,8%), nordici (54,8%) e perfino spagnoli (55%). L’incidenza della perdita dei crediti sui ricavi è poi superiore: 26,2% contro il 14,4% di media europea. Il risultato è che la somma dei costi operatici e delle svalutazioni, annotano a R&S mediobanca, arriva al 90,6%, il livello più alto tra i Paesi finiti sotto la lente.
Quanto ad attivi rischiosi, le principali banche europee si ritrovano in portafoglio, sempre a fine giugno, più di 310 miliardi di euro di titoli di Stato dei Paesi periferici dell’Area dell’euro. Di questi miliardi, 207 sono italiani. Le situazioni più pesanti, ancora una volta, sono appannaggio delle banche italiane e spagnole. A livello delle principali banche europee tali titoli, al 30 giugno, rappresentano il 27,2% dei mezzi propri complessivi. Per Intesa Sanpaolo volano al 204%, per Unicredit sono al 76%. Rispetto all’anno prima Ca’ de Sass ha effettuato acquisti netti di titoli di Stato per quasi 20 miliardi di euro, l’ex gruppo di Piazza Cordusio per 8,3 miliardi). In compenso le due banche italiane sono tra le meno esposte (10% del patrimonio di vigilanza per Intesa, 13% per Unicredit) nelle attività cosiddette di Livello 3, quelle di «problematica valutazione e smobilizzo». Allo stesso modo, diminuisce il peso dei derivati il cui volume, a livello di sistema, scende del 18,1%, con una consistenza tornata quasi ai livelli del 2010, al 18,9% dell’attivo. Gli istituti italiani hanno visto una riduzione più decisa di tali strumenti, pari al 25,1% con una delle incidenze più basse, il 7,6% dell’attivo.
Il punto dolente è da cercare nei crediti dubbi. Per le due banche principali del Paese costo del rischio e incidenza delle svalutazioni sui ricavi sono a livelli pressoché doppi rispetto alla medie europea. Rispettivamente 120 punti base contro 69,7 dell’Europa per il costo e 26,2% di incidenza contro il 14,4% generale.
Il rapporto, dedicato alle semestrali, getta uno sguardo anche sull’andamento dei primi nove mesi. La riduzione delle perdite su crediti rallenta ma - complici cinque istituti tornati in utile - il risultato netto aumenta del 68,6%. Per Unicredit (-4,7%) e Intesa Sanpaolo (-4,2%) i ricavi scendono in linea con la media europea. Lo stesso non può dirsi per l’ultima linea. Gli utili sono crollati soprattutto per Intesa, giù del 62,1%. Pesa l’impennata (+23,9%) delle perdite sui crediti. Il grande problema italiano.