Alberto Mattioli, La Stampa 6/12/2013, 6 dicembre 2013
VIOLETTA ALLA SCALA CHE VITA TRAVAGLIATA
Ci siamo. Domani è Sant’Ambroeus e, fra i soliti isterismi giornalistico-loggionistici, la Scala inaugura la stagione. Quest’anno l’odore di sangue è anche più forte del consueto perché il teatro ottimo massimo ha scelto di aprire con La traviata. E, di tutti i sempreVerdi, si tratta di uno di quelli storicamente più pericolosi. Specie alla Scala.
La «colpa» è della solita Maria Callas, in una delle sue interpretazioni più mitiche e in una produzione leggendaria. Quel 28 maggio 1955 dirigeva Carlo Maria Giulini e i due Germont erano Giuseppe Di Stefano ed Ettore Bastianini. Luchino Visconti e Lila de Nobili, rispettivamente regista e scenografa-costumista (anzi, autrice di «bozzetti e figurini», come da locandina), avevano creato uno dei loro capolavori. E fu subito storia.
Eppure la Callas non era affatto la regina indiscussa della Scala, come si fa credere oggi. Ogni sua prima era una battaglia e «la Maria» i suoi trionfi doveva sudarseli, ogni sera e senza sconti. Alla prima era talmente terrorizzata che Visconti si piazzò sotto il cupolino del suggeritore per farle coraggio. Ora, la Callas è sconvolgente anche solo in fotografia, figuriamoci cosa dovette essere in teatro e in quello spettacolo. Visconti, si disse, aveva portato da palazzo la sua argenteria e ogni pomeriggio andava a comprare di persona le camelie. Ma fu uno scandalo che, nel finale del primo atto, la Callas si togliesse le scarpe: come, una primadonna a piedi nudi sul sacro palcoscenico della Scala! Idem nel finale, quando Violetta cerca pateticamente di andare «al tempio» con Alfredo alfine ritrovato, e lei, disfatta, diafana, sublime, cercava pateticamente di annodarsi un cappellino: come, una signora non mette il cappello in camera da letto! Sono gli stessi (alcuni anche fisicamente gli stessi) che sbraiteranno quando domani, nella regia di Dmitri Tcherniakov, vedranno Alfredo preparare un piatto di pasta a Violetta. Par già di sentirli ululare. Ma si sa che i tempi cambiano, certa gente mai.
Fatto sta che dopo quella Traviata, ripresa anche l’anno seguente per diciassette recite (e tutte cantate dalla Callas), a Milano l’opera divenne tabù. Provarono a infrangerlo il 17 dicembre 1964 e stavolta fu subito tragedia. E dire che a riportare l’opera alla Scala non furono i primi che passavano di lì: dirigeva Herbert von Karajan, regia di Franco Zeffirelli, protagonista Mirella Freni, che da settimane riceveva lettere e telefonate anonime con insulti e minacce. Il massacro iniziò alla fine del primo atto, quando una tesissima Freni stonicchiò i re bemolle di «Gioir!», perse la testa per la prima e ultima volta nella sua carriera e uscì al proscenio con le mani sui fianchi in atteggiamento di sfida. E finì con i vedovi Callas che assediavano l’ingresso dei camerini di via Filodrammatici. Zeffirelli fu coperto di sputi; Karajan, caricato dalla polizia su una macchina spedita dal consolato austriaco. La Freni fu salvata da Pavarotti, in teatro come riserva dell’Alfredo titolare. Fece credere a tutti che fosse Mirella la ragazza bionda che aveva caricato in macchina. I loggionisti abboccarono lo inseguirono e lo fermarono, mentre la Freni se ne andava da un ingresso secondario.
Per i 26 anni seguenti, un’eternità, alla Scala non si vide più Traviata. Avercela riportata è uno dei meriti di Riccardo Muti. Quel 21 aprile 1990 si temevano sfracelli e invece fu un successo. Certo, Liliana Cavani fece uno dei soliti concerti in costume della gestione Muti, tutti impalati al proscenio a guardare il podio. Ma fu applaudita la sconosciuta semidebuttante Tiziana Fabbricini, gettata coraggiosamente nella mischia: la voce non era bella, l’intonazione andava e veniva (più spesso andava), ma la personalità c’era tutta. Così, passate le forche caudine, è poi stata un’alluvione di Traviate, e questa produzione è diventata uno dei tipici usati sicuri della Scala. Il 2 giugno ‘95, trionfo di Muti, che reagì a uno sciopero di coro e orchestra mettendosi al pianoforte ad accompagnare i cantanti, fra le ovazioni della sala stufa di sabotaggi sindacali.
Domani sul podio ci sarà Daniele Gatti; Violetta sarà Diana Damrau, i Germont junior e senior rispettivamente Piotr Beczala e Zeliko Lucic. Quanto alle malefatte di Tcherniakov, girano le voci più folli. Ma possiamo rassicurare le care salme: non è vero che lei muore su una lavatrice.