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 2013  dicembre 06 Venerdì calendario

LA GRANDE CRISI PER LE FAMIGLIE? UN TAGLIO AL REDDITO DEL 9,4%


Il ministro dell’Economia Fabrizio Saccomanni insiste: non bisogna lasciarsi andare ai catastrofismi. Ma dobbiamo riavvolgere il nastro della storia di parecchi decenni per trovare un dato terrificante come quello che ci ha consegnato ieri il bilancio sociale dell’Inps. Afferma l’Istituto di previdenza che da quando nel 2008 è iniziata la crisi il potere d’acquisto delle famiglie italiane ha subito un tracollo del 9,4 per cento. Cinque anni di calo ininterrotto, senza prendere fiato. Con l’ultimo della terribile serie, ossia il 2012, peggiore di tutti: -4,9 per cento.
Come sia stato possibile arrivarci, lo spiegano i numeri. Nello scorso anno il reddito disponibile lordo delle famiglie non è andato oltre i 1.030 miliardi di euro. Ossia, 19 miliardi sotto il livello del 2008. Dal che è facile ricavare che ogni famiglia ha avuto a disposizione 775 euro in meno rispetto a cinque anni prima. Somma che equivale a 18 mesi di bollette elettriche, oppure a due anni di consumo di pane o tre anni di latte (valori medi, s’intende). Se poi calcoliamo pure l’inflazione, il quadro è completo. Arrivare a 350 euro al mese di minor reddito familiare lordo disponibile è uno scherzo.
Del resto già l’Istat, qualche mese fa, aveva diffuso dati che gelano il sangue: con la povertà assoluta, quel girone infernale dove è in gioco la stessa sopravvivenza, allargatosi nel 2012 al 9,8% della popolazione meridionale, contro il 5,8% del 2007, prima che la crisi iniziasse. Un aumento del 70%, capace di travolgere 350 mila famiglie. Per non parlare di quanti, in questi anni, hanno sceso i gradini di una vita dignitosa fino alle soglie della miseria.
Nel 2012 viveva con meno di mille euro al mese quasi il 20% per cento delle famiglie siciliane: una su cinque. E poi il 16,7% delle lucane, il 14,9 delle campane, il 12,8 delle calabresi. La media dice che il 14,1% delle famiglie meridionali vede quella soglia fatidica di reddito come un miraggio. Quasi il triplo rispetto al Centro Nord, dove i freddi numeri della statistica informano che i nuclei familiari nelle stesse condizioni sono il 5,1 per cento.
Colpa della crisi, ovvio. Ma solo fino a un certo punto. C’entra anche, eccome, il modo in cui il Paese è stato amministrato in tutti questi anni. Dice tutto il confronto con gli altri Paesi dell’eurozona. Nel periodo preso in esame dall’Inps, quello che va dal 2001 al 2012, il Prodotto interno lordo pro capite dell’Italia, cioè la ricchezza reale prodotta da ciascuno di noi, è diminuita secondo il Fondo monetario internazionale del 6,5 per cento. Un calo che fa impallidire perfino quello della Grande Depressione iniziata nel 1929, come ha sottolineato tempo fa Alessandro Penati su «Repubblica» ricordando che nel quinquennio terminato nel 1939 il Pil si ridusse del 5 per cento.
La mazzata si traduce in un impoverimento di 1.586 euro a testa, circa 3.800 (vale a dire più di 300 euro al mese) in media a famiglia. E siamo stati gli unici ad accusare una botta simile. I soli, in compagnia del Portogallo, a scoprire il segno meno davanti a quella voce. Addirittura «solissimi» ad aver registrato un crollo di quelle proporzioni, visto che per i portoghesi la flessione è stata del 4,1 per cento. La Spagna ha fatto più 2,8. La Francia, più 4,3. Il Belgio, più 7,9. L’Olanda, più 8. E la Germania, più 13,2. Mentre ogni italiano si impoveriva di 1.586 euro l’anno, ogni cittadino della Germania al contrario si arricchiva di 3.556 euro. Per un gap che si era dunque allargato di ben 5.142 euro pro capite. Il che significa 12.340 a nucleo familiare.
Mille euro all’anno perduti da una famiglia italiana rispetto a una famiglia tedesca: ecco il crudo bilancio di questo primo scorcio del terzo millennio. L’effetto combinato di una bassa produttività con relativa perdita di competitività della nostra economia, da una parte, ma anche di una spesa pubblica che ha continuato a crescere mostruosamente senza alcun controllo. Trascinandosi inevitabilmente dietro maggiori tasse. Se nel 2001 la spesa pubblica al netto degli interessi ammontava a 522 miliardi di euro, nel 2012 sfiorava i 720 miliardi, con una crescita prossima al 38 per cento. La pressione fiscale, di conseguenza, era salita dal 41,3% del Pil nel 2001 al 44% scorso anno. Soltanto nel 2012 le famiglie hanno pagato 10 miliardi di imposte in più rispetto al 2011: 407 euro ciascuna.
Sergio Rizzo