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 2013  dicembre 06 Venerdì calendario

FALLACI A CAPO COPERTO E LE SCALATE AI GIORNALI L’ALBUM DELLA STAMPA: ECCO COME ERAVAMO


«È la stampa, bellezza. La stampa! E tu non ci puoi fare niente. Niente». Nel film «Deadline» (in italiano «L’ultima minaccia») lo diceva, nel 1952, Humphrey Bogart al malavitoso-tycoon che voleva condizionare un giornale libero. Una storia tipo le mille storie che Prima comunicazione da quarant’anni racconta.
Sono giusto 40 anni che uscì il primo numero di Prima . Un folle mensile, senza soldi né sponsor, che aveva (ha) l’ambizione di smascherare «la comunicazione come tecnica di potere». Quel matto di Umberto Brunetti e la sua amata Alessandra Ravetta hanno cominciato raccogliendo quote societarie da 200 mila lire. Quando sono arrivati a, più o meno, una dozzina di quote hanno sbattuto in edicola, e quindi in piazza, le scene e i retroscena dei giornali, degli editori, dei politici che volevano condizionare l’informazione, dei padroni delle fabbriche che volevano la stampa amica, dei finanzieri che pretendevano complici i quotidiani grandi e piccoli. Incredibile, ma dopo quarant’anni, Prima è ancora qui. E si celebra con un numero speciale di 505 pagine. Chissà quanto è costato di carta, stampa e distribuzione. Ma c’è. La signora quarantenne s’è fatta anche un po’ di lifting per adeguarsi ai tempi: e oggi si sfoglia anche su tablet, smartphone e kindle fire. Nel ’73 Prima apriva — come si dice in gergo per indicare la notizia più importante — con il fenomeno, allora nuovo in Italia, della scalata ai giornali. Lo spiegava così: «La corsa all’acquisto mostra una vivacità e un clamore inediti nella storia dell’editoria nazionale; i gruppi che scendono in campo e si fanno concorrenza — non disdegnando il colpo basso e il tiro mancino — sono molteplici e della più svariata estrazione (petrolieri, automobilisti, partiti politici per interposta persona, enti di Stato)».
«Per fortuna le notizie non ci sono mai mancate», dice oggi Alessandra Ravetta. Già l’anno dopo c’è il tormentone: la famiglia Rizzoli compra il Corriere della Sera . Indro Montanelli fonda il Giornale e il 25 giugno esce con la prima copia in edicola. Non passa un anno e Eugenio Scalfari annuncia la nascita di la Repubblica . Bisogna aspettare il 1977 per leggere la prima intervista a Silvio Berlusconi inteso come padrone di mezzi di comunicazione di massa. «Qui ci fu un episodio buffo — racconta Alessandra Ravetta —. Già allora Berlusconi era ingestibile in un’intervista. Parlava troppo e voleva rileggere. Brunetti ebbe un’idea geniale: fargli domande a gruppi di dieci: alle prime nove Berlusconi poteva rispondere solo sì o no; alla decima era libero di dilungarsi». Finì che l’intervista fu tagliata: sempre e comunque troppo lunga. Di caratteracci Prima ne ha ospitati parecchi: tipo l’orgogliosa (a dir poco) Oriana Fallaci che nel settembre 1979 intervista Khomeini dopo il suo ritorno in Iran accettando «l’umiliazione» di presentarsi a capo coperto. Sembra un film di fantascienza al contrario, ma in quello stesso anno Prima ospita una notizia «curiosa»: «Il giornale senza carta. Il normale quotidiano verrà sostituito in un futuro non troppo lontano da un video extrapiatto sul quale premendo un tasto selezionatore si leggerà la notizia che ci interessa…». Altro ossigeno per Prima , nel 1981, la scoperta della loggia P2 e dei suoi legami con i vertici del Corriere . E poi l’infinita storia Mondadori-De Benedetti-Formenton-Berlusconi.
Poi, piano piano tutto diventa meno effervescente: la crisi della carta stampata, il calo della pubblicità, le nuove frontiere dell’online. E anche, da parte di Prima, un calo di ironia: «Per forza — dice Ravetta — i giudici l’ironia non la capiscono: se c’è una querela rischi la condanna e non possiamo permetterci di pagare risarcimenti, giusti o ingiusti che siano». Le 12 mila copie di tiratura e le non facili da conservare pagine di pubblicità pretendono rigore economico. Rigore al quale Giorgio Bocca contribuiva scrivendo gratis su tutti i numeri. Gli piaceva Brunetti, quel gentile signore che «sa tirare frecce intinte nel succo d’ortica»: «Mi sembrò mosso da evangelica follia: partire senza una lira, in un mondo giornalistico prevedibilmente ostile, carico di supponenza e code di paglia, rischiare il proprio denaro: cosa che un cuneese (come Bocca ndr ) mai; e mi stupiva che un umbro invece sì».
Francesco Cevasco